PIETRO MECAROZZI
Cronaca

Giovani e violenza: "Pestaggi e violenze. Il dramma è che per loro è tutto normale"

La fotografia della pm dei minori, Ersilia Spena, sulla realtà "Ragazzi che vivono nei Cas ma anche figli di famiglie bene. La maggior parte fa uso di droghe". La Procura è in difficoltà.

Giovani e violenza: "Pestaggi e violenze. Il dramma è che per loro è tutto normale"

Giovani e violenza: "Pestaggi e violenze. Il dramma è che per loro è tutto normale"

Dalla finestra del suo ufficio si scorge il filo spinato dell’Istituto penale per i minorenni (Ipm) di Firenze. Guardando in basso, invece, si gode della vista di un giardino in stile francese, curato nei minimi dettagli proprio da giovani detenuti. Fiori e spine (rugginose) a pochi metri di distanza gli uni dalle altre: due strade e due destini che la procuratrice del tribunale per i minorenni, Ersilia Spena, spesso si trova a dover gestire, studiare e decidere per tutti quei ragazzi che commettono reati. E nell’ultimo periodo sono davvero tanti. Dottoressa Spena, partiamo dalle basi: come nasce una baby-gang? "Non nascono, e non chiamatele baby gang, in quanto non esistono in termini giuridici, perché non ci sono associazioni a delinquere a quei livelli. Si tratta di ragazzi, in gruppo o in singolo, che commettono reati, spesso violenti e di cui molte volte non hanno nemmeno coscienza".

I numeri, però, parlano chiaro: c’è stato un aumento preoccupante dei reati da parte di minori…

"Noi stiamo registrando un innalzamento esponenziale di furti, rapine, violenza sessuali e cyberbullismo tra i minori da dopo la pandemia. Il Covid, le restrizioni e più in generale quel periodo storico hanno fatto scattare qualcosa nei ragazzi, che nel tempo sono divenuti refrattari alla violenza".

Si spieghi meglio.

"Partecipare a un pestaggio o a uno scontro tra gruppi è una cosa normale, è un gesto di affermazione. Così come non reputano di aver commesso nessun reato facendo girare sugli smartphone video o immagini di bullismo o peggio ancora di pedopornografica. A volte ci troviamo di fronte a del materiale che ci lascia senza parole, ma per loro è tutto normale".

Come si arriva ad avere una percezione della realtà così distorta?

"Bisogna andare oltre la storia del ragazzo, entrare dentro le mura domestiche, capire che modelli di riferimento hanno avuto. Se un padre picchia una madre davanti al figlio, e sono tanti i casi del genere mi creda, quel ragazzo crescerà con la convinzione che farlo non è sbagliato, e una volta grande applicherà quegli insegnamenti deviati. Anche dove si nasce è importante".

E dove nascono questi giovani? Chi sono?

"Chi commette il più alto numero di reati sono adolescenti tra i 14 e i 17 anni. Sono italiani e stranieri di seconde generazioni: c’è chi viene da contesti difficile, chi alloggia all’interno dei Cas, ma anche chi alle spalle ha una solidità finanziaria e dei genitori presenti. Non c’è un identikit preciso, anche se un carattere che li accomuna tutti è l’abuso di stupefacenti".

Quanti sono quelli che soffrono di dipendenze?

"L’80 per cento dei ragazzi di cui ci occupiamo fa uso di droghe. E ne parla con serenità, senza timore, in quanto pratica ormai comune tra i suoi coetanei. Se non fumi uno spinello non sei nessuno, non sei del branco, ti escludono. E una volta dentro il vortice, si inizia con il piccolo spaccio, si gira con un coltello in tasca, si commettono aggressioni, furti e rapine".

Le vittime sono molto spesso altri minori: si tratta di rivalità tra gruppi o è il segno di una devianza generazionale?

"Entrambe. Ci sono video che riprendono gruppi di ragazzi che si incrociano in una via e dal nulla cominciai a darsi calci nelle tempie, pugni sulle costole. Tutto rigorosamente ripreso con un cellulare, in quanto grazie a quel video che farà il giro di tutte le chat, i ragazzi credono di affermare la propria identità. Stesso ragionamento quando rapinano i coetanei: non si tratta di sopravvivenza, perché a essere sottratti sono sempre capi firmati, smartphone o accessori costosi. Oggetti che servono poi, a chi non se li può permettere, di garantirsi uno status quo, di essere rispettato dagli altri. È questo l’aspetto più preoccupante".

Come si recuperano questi ragazzi ’perduti’?

"Con percorsi educativi, attraverso le comunità, con le messe alla prova, e in extrema ratio con il carcere. Perché una condanna è per noi una sconfitta, quindi cerchiamo di accompagnarli nel reinserimento nella società. Anche se ultimamente compiere il nostro lavoro è diventato quasi impossibile".

In che senso?

"La giustizia minorile è al momento negletta, nonostante abbia un ruolo nevralgico: tra cinque giorni lascerò Firenze e mi trasferirò a Roma per assumere un nuovo incarico e non verrò sostituita, sono rimasti solo tre procuratori, non abbiamo dirigenti amministrativi e il personale è al 50 per cento di quello in previsto per pianta organico. Le ultime riforme hanno ingolfato la macchina della giustizia minorile che deve farsi carico del penale ma soprattutto di una mole impressionante di casi in ambito civile. Siamo un fiore all’occhiello delle procure di Italia, ma così il sistema non può reggere".