DANIELE MANNOCCHI
Cronaca

Foffo Martinelli: "Eravamo felici con poco ai baracconi di via Cairoli. Bastava scaldare la colla"

Il principe della risata nelle canzonette dell’epoca d’oro sfoglia il personale libro dei ricordi "Quando ero in collegio fuggii per venire al corso e piansi di fronte al Pierrot del Baroni .

Foffo Martinelli: "Eravamo felici con poco ai baracconi di via Cairoli. Bastava scaldare la colla"

Tra le tante qualità di Foffo Martinelli, all’anagrafe Rodolfo, c’è il saper essere insieme poetico e goliardico. Una caratteristica che condivide con il Carnevale, o almeno con quello vernacolare, che fa piangere e sorridere al tempo stesso.

Ma per Foffo cos’è il Carnevale?

"E delafia... Il Carnevale è vita, a Carnevale si rinasce. Ti prende dalla chiocca fino a’ nodelli, e non ti salvi più per tutta la vita, sei condannato a vivere di Carnevale tutto l’anno. Anche se può sembrare stupido, anche se chi viene da fuori ti domanda come fai a pensare al Carnevale tutto l’anno. E perché lo facciamo? Perché ci piace. E perché sono le nostre radici. Chi ce le può togliere? Certo, se si scrivono delle canzoni come quella di quest’anno... L’anno scorso il liscio, quest’anno hanno scritto un brano che non si sa bene cosa sia. Una cosa, però, si sa: se torna in vita Icilio Sadun, la coppa ne la tira, sì, ma nel muso".

Una cosa viscerale, quindi.

"Ragazzi, la nostra manifestazione è nata dalla miseria, come oltraggio alla miseria, quando la gente scianguinava dalla fame e le persone morivano come mosche di malaria. Anche se purtroppo l’hanno inventata gli studenti lucchesi".

Però le ultime ricerche d’archivio danno un ruolo di primo piano alla Lega dei maestri d’ascia e calafati.

"Ho letto qualcosa ma non ho ancora approfondito. Certo, sarebbe più bello. D’altronde, anche il primo Tricolore in Italia è stato quello di Viareggio: lo scudo verde, bianco e rosso con l’ancora, realizzato da studenti che partivano per Curtatone e Montanara. Pare l’avessero inciso su un tavolo".

Tornando al Carnevale, qual è il suo primo ricordo?

"Da bamboretto, andare in bicicletta ai capannoni in via Cairoli, quelli che poi presero fuoco, per lograrmi se mi facevano dare una mano. E da lì venne fuori il discorso “bimbo scalda la colla“, e te rumavi nel calderone che bolliva. Poi fui messo al carrello: da una parte inzuppavo la colla, dall’altra, con le mani sporche, prendevo quattro fogli di giornale e li passavo a chi realizzava il calco. Era una felicità. Poi ebbi la fortuna di entrare in un carro di allora e vidi questo mondo nascosto: un vascello, tutto in legno, con il babbalocco centrale e il suo contrappeso, e una maniglia di corda da tirare su e giù. E lì accanto, due fiaschi di vino, e si capisce perché, dopo un po’, la maschera chiudeva un occhio sì, e uno no".

I carri la emozionano ancora?

"Ricordo che da ragazzo ero in collegio a Genova. Venni a Viareggio di sgamo, e come sempre mi sono messo ad aspettare che rientrassero. Ho anche scritto una poesia sui mascheroni, quando ci sono gli sbalzi e fanno quel rumore che sembra dire “oh, andiamo a casa“, e quandi vidi il Pierrot del Baroni mi misi a piangere. Era la perfezione assoluta, come tante opere di quel periodo lì, dalla “Ballata Selvaggia“ a “Chi vuol esser lieto sia“ di Bocco. E stava venendo fuori Arnaldo. Oggi mi piaccioni Elodie (Lebigre) e Jacopo (Allegrucci), e mi aspetto sempre tanto dall’Avanzini, con il talento che ha. Una volta litigai a cappello in tera con Silvano...".

Come mai?

"Mi disse che gli avevo votato contro, l’anno in cui Gilbert vinse con “Madonna Ciccone, un successo da leone“. Lui aveva fatto quattro cacciatori che giravano su se stessi, con una colomba nel mezzo. Io gli risposi: “Silvano, mi offendi se fai quella roba lì, hai voglia d’urlà“. Ma lo dissi perché era un fenomeno. Era come se io fossi andato a fare la canzonetta nel teatrino di don Bosco. E Alessandro è uguale: la natura gli ha dato un dono, quel talento lì va usato a ragione".

Con i rioni che rapporto ha?

"Quando si creò il Marco Polo, addirittura scrivevo tutte le sere Il Gazzettino del Pinuglioro, che attraverso le trombe veniva diffuso in tutto il quartiere. Io, l’Anichini, il Chiesa, il Lippi, Eraldo Di Simo si cantava e si scrivevano le battute, le canzoni sui personaggi cittadini. E tutti si fermavano per vedere se venivano nominati. Era una sorta di canzonetta. Anche se le soddisfazioni più grandi me le hanno date le mascherate del liceo scientifico: io e Franco (Anichini), il Galli in tutù, e l’ultimo corso eravamo in 740, con tanto di menzione sull’Espresso: “La cosa più bella del Carnevale è stato il gruppo mascherato che ha incarnato lo spirito del divertimento puro“. Ah no?".