
"Dovete fare le aste". L’Ue riscrive la norma sulla scarsità di risorse: "Valutare caso per caso"
di Beppe Nelli
VERSILIA
Al di là della ricostruzione degli atti parlamentari e governativi italiani dalla promulgazione della Direttiva Servizi a ieri, le 31 pagine del parere motivato con cui la Commissione Ue ha rilanciato la procedura d’infrazione aperta contro il Belpaese si concentrano esclusivamente sulla questione degli stabilimenti balneari. Pare che a Bruxelles non interessino né i posteggi dei commercianti ambulanti, né gli altri servizi ad affidamento pubblico che certamente non hanno il valore economico dei bagni. Secondo l’Ue "adottando la legge 142023, il legislatore italiano riproduce le misure precedenti e mantiene la validità delle ‘concessioni balneari’ in contrasto con il diritto dell’Unione. Si può pertanto concludere che le autorità italiane non abbiano risposto alle obiezioni sollevate nella lettera di costituzione in mora, in quanto l’incompatibilità della legislazione italiana con l’articolo 12 della Direttiva sui servizi e con l’articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell’Ue non è stata eliminata". La costituzione in mora è, per intendersi, l’apertura del procedimento di infrazione comunitaria che, alla fine, prevede il deferimento alla Corte di giustizia europea.
Il parere ricorda che l’ultima legge del Governo Meloni è stata controfirmata dal Presidente Sergio Mattarella con "specifiche e rilevanti perplessità", e "adottata in difformità delle sentenze n. 172021 e n. 182021 del 9 novembre 2021 del Consiglio di Stato". Tali ordinanze che fissano al prossimo 31 dicembre la fine di tutte le concessioni sono però sub judice, in attesa del giudizio della Cassazione, la cui Procura generale ha chiesto il loro annullamento. C’è anche un passaggio rivelatore sulle intenzioni dell’Unione, quando scrive: "La reiterata proroga della durata delle attuali ‘concessioni balneari’ non solo scoraggia l’ingresso di nuovi prestatori di servizi innovativi, ma crea una situazione di incertezza giuridica, all’origine di un grave pregiudizio anche per gli attuali concessionari (sic; ndr). A causa dell’illegittimità del quadro legislativo italiano, infatti, le ‘concessioni balneari’ prorogate sono oggetto di ricorso giurisdizionale e annullamento da parte dei tribunali italiani". Segue una perla: "Data l’importanza economica e sociale del settore turistico-balneare in Italia, le condizioni necessarie per una concorrenza aperta, trasparente ed efficace potranno promuovere gli investimenti ed aumentare la qualità dei servizi offerti ai consumatori, nonché migliorare la conservazione dell’ambiente costiero, garantendo nel contempo un adeguato livello di entrate per il bilancio pubblico". Tra tante incongruenze inanellate dall’Ue, il canone è determinato per legge: quando c’è la procedura comparativa per una nuova concessione o per un atto formale con investimenti su concessioni esistenti, la gara non verte sul canone al rialzo, ma sulla cifra dell’investimento e il beneficio sociale del progetto.
Ma arriviamo all’arzigogolo da azzeccagarbugli con cui la Commissione europea interpreta l’articolo 12 della Direttiva Bolkestein per arrivare a dire che l’eventuale scarsità di una risorsa, la quale determina l’obbligo delle aste delle concessioni già esistenti, non si deve calcolare su base nazionale ma va "interpretata". Scrive la Commissione: "Il concetto di scarsità va, invero, interpretato in termini relativi e non assoluti, tenendo conto non solo della “quantità” del bene disponibile, ma anche dei suoi aspetti qualitativi e, di conseguenza, della domanda che è in grado di generare da parte di altri potenziali concorrenti. Va considerata la concreta disponibilità di aree ulteriori rispetto a quelle attualmente già oggetto di concessione. La valutazione della scarsità della risorsa naturale, invero, dipende essenzialmente dall’esistenza di aree disponibili sufficienti a permettere lo svolgimento della prestazione di servizi anche ad operatori economici diversi da quelli attualmente “protetti” dalla proroga ex lege. I dati del Ministero rivelano che in Italia quasi il 50% delle coste sabbiose è occupato da stabilimenti balneari, con picchi che in alcune Regioni come Liguria, Emilia-Romagna e Campania arrivano quasi al 70%. Una percentuale di occupazione, quindi, molto elevata".
L’Ue introduce l’approccio "caso per caso" nella valutazione della scarsità di coste assegnabili: "Pertanto le risorse naturali a disposizione di nuovi potenziali operatori economici sono scarse, in alcuni casi addirittura inesistenti. Le ripetute proroghe ex lege delle ‘concessioni balneari’ e il divieto imposto agli enti concedenti di procedere all’emanazione dei bandi di assegnazione possono scoraggiare e impedire alle imprese stabilite in altri stati membri di esercitare il loro diritto di stabilimento in italia al fine di prestare servizi nell’ambito delle ‘concessioni balneari’". Il Reno mormorò: avanti lo straniero, ma solo in italia.