REDAZIONE VIAREGGIO

Dieci anni fa emerse il campo degli orrori

David Paolini denunciò ai carabinieri la scomparsa di madre e nonna che da tempo vivevano praticamente da recluse in una roulotte

E’ un giallo arrivato a sentenza – con un verdetto ‘pesante’ da parte dei giudici, che hanno condannato a 38 anni di carcere lil principale imputato – ma la verità assoluta, la ‘pistola fumante’ non è stata mai trovata. Ovvio comunque che i magistrati (e la giuria popolare) abbiamo maturato – fino al terzo grado di giudizio – la stessa convinzione degli inquirenti fin dalla fase istruttoria: la morte e la soppressione dei cadaveri di due donne, madre e figlia, che negli ultimi tempi della loro esistenza abitavano in altrettante roulotte all’interno di un campo a Torre del Lago.

Dieci anni fa – sono passati due lustri e ancora oggi se ne parla – Viareggio e Torre del Lago vissero l’incubo e l’angoscia della misteriosa sparizione di Maddalena Semeraro, all’epoca dei fatti 80 anni, e di sua figlia Claudia Velia Carmazzi, 59 anni: la prima segnalazione che le due donne erano scomparsa arrivò il 22 settembre ad un’assistente sociale del Comune che non riuscendo ad avere certezze su dove si trovassero, dopo avere contattato parenti e conoscenti, presentò denuncia ai carabinieri. Ma nei primi giorni dell’inchiesta, mancò forse la percezione di quel che realmente poteva essere accaduto a madre e figlia, visto che un amico di famiglia, Massimo Remorini (cugino del primo marito di Claudia Velia), diventato nel corso delle indagini prima indagato e in un secondo momento imputato, aveva riferito al figlio di Velia, David Paolini, che "la mamma e la nonna erano ricoverate in un ospedale al Nord", nonostante lo stesso Paolini avesse trovato la mamma coperta con un telo alla fine di agosto all’interno della roulotte, informando lo stesso Remorini. Ma queste circostanze non sono mai state confermate da Remorini il quale ha sempre sostenuto e ribadito anche nel corso del dibattimento in Corte di Assise, che Velia Carmazzi si era volontariamente allontanata dal campo verso la metà di agosto 2010 e che un mese dopo era tornata a prendere la madre Maddalena Semeraro senza più dare notizie.

L’inchiesta rimane sottotraccia per diverse settimane per poi riprendere vigore e diventare un ‘contenitore’ mediatico anche per una trasmissione cult come ‘Chi l’ha visto’ alla fine di novembre quando David Paolini, figlio e nipote delle due donne sparite nel nulla, si rivolve ai giornali e alle tv raccontando la sua storia e chiedendo ‘dove sono finite mia madre e mia nonna’? Fu a quel punto che i carabinieri decisero di agire in maniera massiccia andando a compiere accertamenti con i Ris (gli specialisti della scientifica) nel campo-abitazione di Torre del Lago ponendo sotto sequestro la struttura. E fu in quel periodo che sul palcoscenico investigativo apparve perentoriamente un altro personaggio, fondamentale per l’inchiesta: Francesco ‘Cecchino’ Tureddi (scomparso nel 2018). Fu proprio Tureddi, dopo il periodo iniziale dell’inchiesta a fine settembre in cui aveva avallato la versione di Massimo Remorini, incominciò a fare delle ammissioni, fra cui quella di avere visto lo stesso amico bruciare il corpo di Maddalena Semeraro in un fusto rosso all’interno del campo e di avere poi disperso le ceneri e i resti in cassonetti, financo nella zona di Pontenuovo nel comune di Pietrasanta. Ricostruzione che il Remorini ha sempre respinto sostenendo che "Tureddi è notoriamente una persona inaffidabile".

Alla fine di febbraio 2011 poi l’inchiesta ebbe un’ulteriore impennata con l’arresto di Massimo Remorini, di una sua amica, Maria Casentini, che per qualche tempo aveva seguito come badante Maddalena Semeraro; nei guai era finito anche Francesco Tureddi, poi assolto al processo arrivato a sentenza di primo grado all’inizio di luglio del 2015, con la condanna di Remorini e dell’amica anche se i corpi delle due donne non sono mai stati trovati. Una condanna che ha avuto poi seguito in tutti i gradi di giudizio, fino alla Cassazione con i supremi giudici che hanno respinto gli appelli delle difese e confermato i 38 anni per Remorini e i 16 anni per Maria Casentini.

La sintesi di quei mesi di angoscia, di sensazioni spiacevoli e di dolore è racchiusa in queste poche righe. Quella storia è molto più ricca di episodi e di sfumature che ancora oggi, quando riaffiorano dagli archivi, provocano un grande sgomento, su quanto sia purtroppo realistica la ‘banalità del male’.

r.v.