Dalla discoteca ai malati di coronavirus: la storia del deejay volontario

Andrea Paci Dj è uno dei ragazzi in azione sulle ambulanze della Misericordia di Lido che soccorrono i pazienti positivi in Versilia

Andrea Paci con le protezioni per il soccorso dei malati positivi al Coronavirus

Andrea Paci con le protezioni per il soccorso dei malati positivi al Coronavirus

Viareggio, 14 marzo 2020 - Oggi è il compleanno di sua figlia, Viola. E spegnerà con lei le candeline, scarterà il regalo, guarderà i cartoni alla tv, aspetterà che si addormenti nel suo lettino. E domani tornerà in servizio, a bordo dell’ambulanza. Faccia a faccia con il virus che ha paralizzato il mondo. Il Dj Andrea Paci è un soccorritore in servizio per la Misericordia di Lido di Camaiore. "Torneremo a ballare – dice –. Ci vorrà pazienza, ora ci vuole solidarietà e responsabilità. In questo momento ognuno è custode della vita dell’altro". Per questo rinnova l’appello e gli hastag: #iorestoinservizio, #voirestateacasa. Che giorni sono, questi, per un soccorritore? "Sono giorni certamente complicati, si passa dallo sconforto e momenti di profonda soddisfazione. Quando percepisco che intorno a me non c’è coscienza del problema, della forte contagiosità del Coronaviurs e dell’equilibrio sottile su cui si regge il sistema sanitario mi sento perso. Ma riceviamo anche grande sostegno. Tutti gli operatori della sanità, compresi quelli che operano nel soccorso come me, in queste ore sanno di poter contare sulla spinta di un Paese intero. L’affetto è forte, e riesce a superare anche la ‘scorza’ della tuta con cui operiamo in questi giorni". Di cosa ti occupi? "Come autista faccio parte di una delle due ambulanze che il 118 ha dirottato sull’emergenza, si chiamano Covid 1 e Covid 2. Questi mezzi, ‘scafandrati’, sono predisposti proprio per il trasferimento dei pazienti positivi o sospetti. Quindi sì, mi sono trovato di fronte a pazienti contagiati da Coronavirus. E quello che è profondamente cambiato, rispetto ad un’alyra emergenza, è proprio il rapporto con le persone, abbiamo l’obbligo di mantenere delle distanze. Non ci sono contatti. E quindi bisogna trovare le parole giuste, parole che abbiano la stessa forza di una stretta di mano per tranquillizzare chi ha chiesto aiuto. Perché questo virus fa paura". E’ dura? "Sono onesto, lo è. Intanto perché lavoriamo con dispositivi di protezione individuale ingombranti ma necessari per proteggerci. Quindi i guanti di lattice, la tuta con il cappuccio tirato su, a coprire la testa, gli occhiali e la mascherina. Un viaggio in ambulanza così, ne vale sei di una normale emergenza. Mi sono occupato personalmente del trasferimento di un paziente a malattie infettive a Lucca, in autostrada per il caldo ho cominciato a sudare e mi si sono appannate le lenti. Ho dovuto accendere l’aria condizionata per spannarle. E non è finita. Quando l’ambulanza torna alla base comincia la sanificazione del mezzo. Sempre dentro la tuta. E’ dura, come lo è ogni maxi emergenza. Quando le condizioni di intervento mutano rapidamente, e bisogna affrontare la situazione con sangue freddo e razionalità". Cosa ti ha colpito in queste ore? "Mi ha colpito la fiducia con cui le persone ci affidano i loro cari, non potendo seguirli e rimanergli vicini è ancora più difficile lasciarli partire in ambulanza. E mi ha colpito anche la sensazione che in questa situazione stiamo riuscendo a superare l’individualismo. E che continuiamo a cercare occasioni per stare insieme, seppur a distanza. Con fantasia". Per questo Andrea ieri ha montato una cassa sul terrazzo di casa e ha organizzato un dj set in piazza della Santissima Annunziata, proprio mentre in tutta Italia i musicisti hanno dedicato una canzone al vicinato. "Anche così possiamo essere utili...". Martina Del Chicca