MARTINA DEL CHICCA
Cronaca

Crollo della diga a Rapallo. Una condanna a due anni

La tempesta travolse il porticciolo provocando il naufragio di 225 imbarcazioni. Riconosciuto il risarcimento a due marittimi viareggini tutelati dall’avvocato Nicoletti.

Il porticciolo turistico di Rapallo dopo la tempesta dell’ottobre 2018

Il porticciolo turistico di Rapallo dopo la tempesta dell’ottobre 2018

Per il crollo della diga del porticciolo turistico Carlo Riva di Rapallo, in seguito alla mareggiata del 30 ottobre 2018, che provocò il naufragio di 225 imbarcazioni, tra le quali anche lo yacht di Pier Silvio Berlusconi, con l’accusa di disastro colposo e naufragio, il collegio del Tribunale di Genova, presieduto dalla giudice Carla Pastorini, ha condannato alla pena di due anni, sospesa, l’ingegner Alessandro Pentimalli, responsabile del Genio Civile che, secondo l’accusa, non sorvegliò i lavori di rafforzamento della diga eseguiti nel 2000, e per il quale la Procura aveva chiesto una condanna a 3 anni e 6 mesi. Condannato come responsabile civile, al risarcimento dei danni, il Ministero delle Infrastrutture. Il Tribunale ha poi trasmesso gli atti alla Procura della Repubblica per aprire un nuovo fascicolo a carico dell’allora sindaco di Rapallo e della Porto Riva Spa.

Questo l’esito del processo nel quale furono ammesse trentacinque parti civili, tra cui il comandante Andrea Malfatti e il marinario Stefano Paoli, entrambi viareggini e assistiti dall’avvocato Tiziano Nicoletti. Erano a lavoro, a bordo dello yacht Mar di Giava, quando si è abbattuta la tempesta, con venti oltre i 150 chilometri orari e onde alte oltre otto metri: "un’avventura apocalittica" la definì Malfatti.

"La barca si stava fracassando in banchina" raccontò a “La Nazione“ il comandante, e per salvare lo yacht aggiunse, di rinforzo, altre cime "ma furono strappate come capelli". Intorno alle 19, dopo ogni tentativo disperato, Malfatti diede l’ordine di abbandonare la nave, e non riuscendo a raggiungere la banchina insieme al marinaio Paoli trovò ospitalità in una barca vicina: il Sakara, 40 metri della famiglia Al Fayed. "In quel momento ho visto affondare il nostro yacht. E quando si sono strappate anche le cime del ‘Sakara’ – proseguì – in 15 ci spostammo sull’ultimo yacht vicino, per poi decidere di scendere dalla passerella in banchina". Appena sbarcati, un’onda sbalzò tutti alla distanza di 20 metri. Erano le 21 circa, e per resistere al mare "ci legammo ai pali della luce". Dove rimasero fino all’1.45 di notte, fino all’arrivo degli uomini del reparto anfibi dei vigili del fuoco. A conclusione del processo esprime "soddisfazione" l’avvocato Tiziano Nicoletti; "Perché questa sentenza – commenta – rende giustizia a due lavoratori del mare che hanno rischiato la vita per compiere il loro dovere fino alla fine".

Martina Del Chicca