CHIARA SACCHETTI
Cronaca

Emergenza coronavirus, "Qua in Cina ci controllano ad ogni passo"

Marco Spinelli da 8 anni vive e lavora nella metropoli di Chengdu: "Ci hanno chiuso il ristorante, facciamo solo consegne a domicilio"

Marco Spinelli

Viareggio, 5 marzo 2020 - Strade vuote, controllo della temperatura corporea ovunque, dalla metro all’autobus, e ristoranti chiusi al pubblico che fanno solo consegne a domicilio. Così nell’era del Coronavirus vive Marco Spinelli, giovane viareggino da 8 anni trasferitosi in Cina, dopo aver studiato il mandarino all’universita’ Ca’ Foscari, e ora impegnato in un ristorante italiano a Chengdu, la capitale del Sichuan nel sud-ovest della Cina.  

Qual è la situazione attorno a te? "Chengdu ha 16 milioni di abitanti e solo 143 casi di Coronavirus, di cui 3 morti e 92 guariti. Non ci sono nuovi casi da circa due settimane, hanno abbassato il livello di emergenza e alcune compagnie hanno ricominciato a lavorare, mentre tanti lavorano telematicamente. Non è come a Wuhan".  

Tutto normale, davvero? "No, non siamo lavorando normalmente: il ristorante non può ancora aprire al pubblico, lavoriamo solo per consegne a domicilio. Ci sono piccole restrizioni su come andare fuori casa, ma la cosa che mi ha colpito di più sono le strade vuote, in una città dove non lo sono neanche di notte".  

Che controlli ci sono? "Si va dal blocco del traffico, al monitoraggio di chiunque si sposti. Ogni quartiere ha solo un punto di ingresso e uscita. A Chengdu controllano la temperatura corporea in metro, autobus, treni, aerei, con quarantena di due settimane a casa se presenti sintomi o in automatico se torni dalla zona di Wuhan. La maggioranza delle compagnie ha ricominciato a lavorare telematicamente; i servizi telematici hanno evitato il blocco dell’economia. Le scuole offrono servizi online e lezioni in videoconferenza per alunni. Sono stati cancellati tutti gli eventi pubblici,chiusi musei, librerie, bar e ristoranti".  

Non siete soggetti a veri blocchi, dunque? "Qui a Chengdu nel primo periodo dell’epidemia era fermo tutto. Adesso danno degli standard per poter rientrare: non ti fermano dal ricominciare la tua attività, ma ti impongono diversi standard per farlo, tipo avere un certo stock di mascherine e alcol in ufficio, i controlli sanitari e così via".  

La Cina ha cercato di occultare le notizie? "Inizialmente hanno cercato di nascondere la situazione reale, e questo ha generato un vero e proprio sentimento di rabbia specialmente sui social network, mentre giornali e singole persone hanno fatto circolare l’informazione reale. All’inizio sono state nascoste le difficoltà in cui operano le dottoresse e le infermiere volontarie partite per Wuhan. Anzi, i media ufficiali parlavano solo di uomini. Così negli ospedali mancavano perfino gli assorbenti igienici femminili...".  

Hai notizie di prima mano su Wuhan, il focolaio iniziale dell’epidemia? "Sui social ci sono le affermazioni di tantissime persone che sono ancora bloccate nella città, e hanno paura di diventare solo un numero nei conteggi di casi infetti e decessi. Sono storie di vita quotidiana durante l’epidemia. E’ molto interessante però la crescita della sensibilizzazione per la circolazione di notizie vere, e la condanna di chi ha nascosto le notizie o fatto circolare quelle false".  

Da quel che dici sembra che non ci sia una psicosi con gli occhi a mandorla. "No, non c’è molta psicosi. L’epidemia è affrontata abbastanza razionalmente: ci si preoccupa di prevenire e contenere il virus nella giusta misura, le persone si attengono a misure di prevenzione senza lamentarsi troppo, e c’è una comprensione generale che bisogna necessariamente attenersi a misure di sicurezza per evitare che le cose peggiorino. C’è un livello di panico giustificato a Wuhan dove la situazione è ancora terribile. Reazioni psicotiche, in tutto il paese, sono isolate e derivano solo dalle bufale sui social".

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