La legge c’è, ma i suoi i limiti sono evidenti. In materia di maltrattamenti c’è molta strada da fare, in particolare sulla via del recupero di chi ne è responsabile. Il carcere, insomma, non basta se non affiancato da un adeguato, specializzato, percorso di recupero dei carnefici. Se ne è parlato nella sala del consiglio della Provincia di Perugia, nell’ambito dell’iniziativa "Prospettive di una riforma ambiziosa: il percorso di recupero dei maltrattanti", organizzata dalla Camera Penale "Fabio Dean" di Perugia. Al convegno sono intervenuti come relatori Carla Maria Giangamboni (presidente della sezione Tema dell’incontro, moderato dagli avvocati Maria Cristina e Carla Ragna, la riforma della normativa vigente in materia di maltrattamenti.
All’unisono è stata prospettata l’esigenza di aggiornare e modificare la legge, che è in vigore da molti anni, perché inadeguata è rappresenta uno strumento "inefficace" per la risoluzione del problema: il carcere non porta risultati se non affiancato da un percorso di recupero, significativo, in questo senso, il dato fornito dal prefetto Francesco Messina, a capo della divisione dell’anticrimine della polizia di Stato ed ex questore di Perugia, che ha rilevato come "il 95% degli uomini che hanno seguito un percorso cognitivo comportamentale non ha recidivato nella violenza". Per questo motivo, è stata prospettata e discussa l’opportunità di sviluppare il progetto Cuav, ovvero il Centro per uomini autori di violenza, per sensibilizzare "la capacità di risposta comportamentale alternativa alla violenza dei maltrattanti di fronte alle emozioni negative, basandosi sul presupposto che taluni autori delle violenze di coppia siano carenti sulle competenze sociali".
L’obbiettivo è quello di far riconoscere all’autore di violenza le proprie. I relatori hanno riportato un dato importante: solo il 5% degli uomini maltrattanti risultano essere soggetti definibili "malati", mentre gli altri decidono volontariamente di agire con violenza. Quindi la struttura, è emerso, non rappresenta il percorso idoneo al recupero per tre motivi: non c’è solidarietà con l’uomo che effettua il percorso, ma solo con la vittima; non esiste una vittima ideale a tutto tondo, come non c’è colpevole a tutto tondo; occorre un "ascolto" empatico, ma non complice o collusivo. Tra le valutazioni e considerazioni emerse dal convegno è che il fenomeno della rabbia, quindi la reazione violenta, è la sola forma comportamentale in qualche maniera legittimata.