
di Erika Pontini
Enrico Fiorelli, 49 anni, lavoratore svantaggiato della cooperativa sociale ’Sopra il Muro’ di Gualdo Tadino, addetto, tra l’altro, al canile-rifugio e in cura per depressione maggiore al Csm di Gubbio, si suicidò il 16 febbraio dopo aver scritto in un file nascosto del computer "Mi hanno fatto ripiombare nell’abisso senza fondo della sindrome depressiva, lavorare è diventato impossibile e sentirsi dire le cose più bieche dopo che ci si spezza la schiena". E adesso la procura di Perugia indaga, su ordine del gip del tribunale di Perugia Angela Avila, per istigazione al suicidio. Per capire se – come denunciato – Enrico fu portato a compiere un gesto estremo quando avrebbe dovuto essere curato e aiutato.
Il provvedimento del gip
Il giudice, accogliendo l’istanza di opposizione del fratello Marco Fiorelli, ha ritenuto di non archiviare le indagini, squarciando il velo del silenzio attorno a una delle tante storie drammatiche che si consumano spesso nel chiuso di una casa, ma di disporre ulteriori accertamenti in ordine alla denuncia dei familiari: sostengono che il suicidio di Enrico fu provocato dalle continue vessazioni e maltrattamenti sul luogo di lavoro, "portato alla disperazione dopo anni di abusi verbali, ingiustizie e intimidazioni". E questo – dicono negli atti giudiziari – nonostante il ruolo sociale di una Cooperativa sia proprio quello dei reinserimento delle persone svantaggiate nel mondo del lavoro. Invece fu "ridotto – è l’accusa del fratello assistito dall’avvocato Claudio Cimato – in una sorta di moderna schiavitù".
Le nuove indagini
"La richiesta di archiviazione avanzata dal pm non può essere accolta – riporta il giudice – . Si reputa che la gravità dei fatti, puntualmente ricostruiti dalla persona offesa (il fratello Marco, ndr) e tenuto conto che le dichiarazioni rese dalla madre non sono state esaminate dal pm (perché non trasmesse all’Ag per mera svista dellla polizia giudiziaria) merita un ulteriore approfondimento".
La mamma
Alla madre la sera prima Enrico aveva raccontato di aver subito una violenta reprimenda: "Vattene via, non sei capace di fare niente, non ti vogliamo", gli avevano detto. Tesi confermata da un testimone: "La dirigenza aveva cattiveria nei confronti di Enrico e volevano allontanarlo", tanto che sarebbe stato "ridimensionato per favorire altri dipendenti". Avila ritiene che debbano essere sentite una decina di persone "sui temi indicati nell’opposizione". "Appare necessario – scrive il gip – che vengano svolte ulteriori investigazioni, al fine di verificare la fondatezza di una notizia di reato e quindi identificare l’autore del reato".La drammatica sequenza del suicidio è nelle decine di pagine di memoria di Marco, esperto di sicurezza proprio nei luoghi di lavoro ma in Toscana e chiede "giustizia per un fratello morto". Enrico parlò poco dei suoi problemi: agli atti ci sono tracce nei colloqui al Centro di salute mentale e nelle decine di lettere estrapolate dal pc.
Il canile-rifugio
Il nodo sarebbe legato alla gestione del canile-rifugio dove Enrico era impiegato: "Gli impianti e le strutture erano fortemente inadeguati – scrive il fratello – al punto da mettere in forte difficoltà chi ci lavorava e i volontari. Enrico era stato costretto in una mortificante condizione di isolamento umano con riduzione drastica della retribuzione (percepiva tra 300 e 400 euro al mese) e doveva patire il condizionamento morale a far funzionare tutto e ad essere lui la causa delle gravi carenze".
Gli accertamenti
Dopo il suicidio la famiglia ha compiuto un lavoro certosino per far luce sulle reali motivazioni del gesto, chiedendo a un consulente informatico di estrapolare le ’memorie’ di Enrico, prodotte al giudice.
Le lettere
"Immediatamente eravamo aggrediti con una telefonata d’insulti irripetibili e minacce pensatissime, al che abbiamo dovuto prendere un periodo di riposo causa forte crisi depressiva. Al rientro abbiamo cercato di evitare ogni contatto ma sono venuti nuovamente a provocarci nel nostro orario di lavoro", "usati come parafulmini", "combattere battaglie per far restare in vita il canile", "non far abbattere gli animali come era previsto", "farci urlare in faccia che siamo dei poco di buono se eseguiamo le istruzioni di veterinari e guardie". "Mio fratello non meritava la sofferenza che gli è stata provocata", spiega ora il fratello.