
di Erika Pontini
Molecole per ’salvare’ milioni di vite umane dalla sfida del secolo: i batteri resistenti agli antibiotici. Sono state scoperte nei laboratori dell’Università di Perugia – al centro di un’importante scoperta scientifica – la nuova arma per combattere i batteri resistenti, un’emergenza sanitaria a livello mondiale che, solo in Europa è responsabile di qualcosa come 40mila decessi all’anno. Prima dell’allarme Covid-19 la vera incognita dell’Organizzazione mondiale della sanità, soprattutto per quanto riguarda le infezioni ospedaliere, che si rivelano spesso letali: si entra in corsia per un’otite e si potrebbe non uscire mai più. Ma il team di chemio-informatica del Dipartimento di Chimica, diretto dal professor Gabriele Cruciani, dopo quasi tre anni di lavoro, è riuscito a identificare alcuni inibitori delle proteine, prodotte dai batteri resistenti all’azione antibiotica dei farmaci, e a potenziare di ben 16 volte l’attività dell’’imipenem’, il farmaco usato contro un ceppo clinico ’E.coli’ che produce, appunto, una delle proteine resistenti (l’Ndm-1).
Lo studio è stato certificato e pubblicato dalla prestigiosa rivista NatureResearch (nella foto sotto la prima pagina dell’elaborato). Un risultato strepitoso per i laboratori dell’Ateneo perugino che, da mesi, studiano le molecole per inibire anche il SarsCov2. La scoperta è stata messa a disposizione della comunità scientifica internazionale per consentire ai ricercatori di tutto il mondo di potenziare gli antibiotici e combattere le infezioni ospedalieri ma senza alcun brevetto. "E’ stato come fornirgli un aiuto, una chiave che loro, adesso, possono usare. La nostra filosofia – spiega Cruciani – è stata quella di mettere lo studio a disposizione. Non vogliamo lucrare sull’importanza di una scoperta a tutela della salute pubblica, realizzata anche con i fondi pubblici dell’Università".
"L’imipenem è un antibiotico b-lattaminico – è spiegato nel lavoro – che viene utilizzato per infezioni nosocomiali gravi, causate da ceppi resistenti agli altri antibiotici". "Tuttavia la resistenza – sottolinea il professore – è oggi frequente". Il valore dello studio sta nel fatto che, invece, "il potenziamento della sua attività lo rende utilizzabile anche in quei casi in cui ipemen non riesce a bloccare l’infezione batterica".
"Prima dell’emergenza Covid era la resistenza ’multidrug’ il vero problema", in campo sanitario. "A causa dell’abuso di antibiotici – spiega ancora Cruciani – e del fatto che antibiotici sono ormai presenti in tutto il ciclo alimentare (carne, latte, uova spesso ricche di antibiotici), i batteri si sono abituati alla presenza degli antibiotici e si sono geneticamente modificati. Il risultato è che siamo tornati indietro di 60-70 anni. Da quando sono stati inventati non avevamo più problemi ma oggi la stessa Oms ha dichiarato come nemico numero 1, la resistenza dei batteri agli antibiotici. In sostanza non abbiamo più nessun ’farmaco’ disponibile che distrugga tutti i batteri che ci infettano. In genere, le più pericolose sono le infezioni ospedaliere e il rischio di morire è sempre più elevato.
Cruciani combatte da anni la sfida ai batteri resistenti con lo stesso ’meccanismo logico’ che sta seguendo per stroncare il virus del SarsCoV2 cercando di sintetizzare molecole in grado di annullare gli effetti della malattia. Nei giorni scorsi il professore perugino è riuscito a certificare il suo studio: "In prospettiva vengono mostrate molecole che sono come mattoncini che si possono unire agli antibiotici per potenziare la loro azione".
Una scoperta realizzata con un gruppo di scienziati che hanno firmato il lavoro (Francesca Spyrakis, Matteo Santucci, Lorenzo Maso, Simon Cross, Eleonora Giaquinto, Filomena Sannio, Federica Verdirosa, Filomena De Luca, Jean-Denis Docquier, Laura Cendron Donatella Tondi, Alberto Venturelli e Maria Paola Costi, oltre, naturalmente al professore perugino) provenienti, per la maggior parte, dalle aule dell’Ateneo perugino e ora ricercatori indipendenti.
"Gli studi – aggiunge Cruciani – sono stati condotti usando metodi di intelligenza artificiale sviluppati al Dipartimento di Chimica Biologia e Biotecnologie ed in seguito validati mediante test microbiologici ed analisi cristallografiche".
Lo studio era stato consegnato a fine 2019 e poi era iniziata la validazione. Prima sottoposto al Comitato scientifico di NatureResearch e poi inviato a quattro scienziati di fama internazionale che avevano chiesto alcune revisioni. Fino alla certificazione della scoperta e alla pubblicazione.