SOFIA COLETTI
Cronaca

"Suonare qui significa laurearsi in jazz"

Parla Renzo Arbore, divenuto presidente onorario della mitica rassegna umbra. "Ecco perché è il miglior Festival del genere nel mondo".

di Sofia Coletti

"E così ho fatto tutta la carriera". Con la consueta ironia fulminante, Renzo Arbore commenta la “carica“ di presidente onorario di Umbria Jazz, ufficializzata ieri dall’assemblea dei soci con la ratifica del nuovi membri del Cda. Presidente della Fondazione Uj sarà l’avvocato Gian Luca Laurenzi (che subentra allo stesso Arbore, anche se da novembre il legale rappresentante era Stefano Mazzoni), nominato dalla Regione insieme a Francesca Ceccacci, docente di Economia e Gestione delle Imprese Commerciali all’Università cittadina e Stefano Bongarzone, direttore marketing editoriale di Rai Pubblicità. A completare il Cda, il Comune nominerà il musicista Aimone Romizi, la Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia conferma Luciano Ventanni

Di certo al titolo di presidente onorario, lo showman e artista dai mille talenti ci tiene davvero tanto. "Sono stato il primo frequentatore della prima edizione di Umbria Jazz – ricorda Arbore con orgoglio –, ci sono molto legato e la seguo sempre, ogni anno. Mi dispiace non essere qui in questi giorni per l’edizione 2020, è un grande rammarico".

Ci racconta il suo legame con Umbria Jazz?

"E’ fortissimo, grazie a UJ ho avuto anche la cittadinanza onoraria di Perugia, città che amo molto. E insieme all’Università per Stranieri ho presentato una tesi molto carina negli States, all’Istituto Italiano di Cultura e alla New York University. E ho sempre avuto il coraggio di dire che Umbria Jazz è forse il miglior festival di jazz del mondo".

E perché, secondo lei?

"Perché nessuno dei più grandi festival americani ha la stessa cornice di Umbria Jazz. Ma sopratutto perché questi festival si basano solo sui week-end, gli americani non ascoltano musica il lunedì o il martedì. Invece la nostra kermesse, sia nell’edizione perugina che in quella orvietana, si trasforma in dieci giorni dedicati solo al jazz".

Insomma, non ha timore della concorrenza internazionale...

"Io giro per il mondo, vedo che ovunque Umbria Jazz è famosissima. Tutti ambiscono a suonare qui, per un artista equivale a una laurea. E il merito è dell’animatore e inventore Carlo Pagnotta. Adoro la sua sua dedizione completa a Umbria Jazz, la competenza e la formidabile vivacità intellettuale unite alla cocciutaggine e alla vena polemica".

E come è cambiata Umbria Jazz in questi anni?

"Durante questo lunghissimo periodo, Umbria Jazz ha attraversato la cultura della musica e il modo di fruirne. Siamo passati dai concerti gratis perché il jazz doveva essere di tutti al ritorno nelle chiese o in spazi inventati. Fino ai Giardini del Frontone e all’Arena. Umbria Jazz ha avuto una vita lunga, complessa, risolta sempre con successo. E con la grande mission di fare avvicinare questo genere al popolo della musica moderna, magari con incursioni nel pop e nel rock. Sono stati anni bellissimi, che riprenderanno nel 2021. E speriamo di realizzare l’edizione invernale a Orvieto".

Il suo primo ricordo legato a Umbria Jazz?

"Il mio arrivo a Perugia nei primi anni ’70 in Cinquecento. Vidi Pagnotta che già litigava con i musicisti. Sono ricordi dolcissimi, ho capito subito che questo festival si rivolgeva al gotha internazionale di allora".

E il concerto più bello?

"Sono troppi, non posso rispondere. Abbiamo fatto tante manifestazioni e tra queste sono molto legato al ricordo di Miles Davis con la sfilata per le strade di Perugia dove tutti cantavano e suonano un brano importante". Ci verrà a Perugia nei quattro giorni dell’edizione di agosto?

"Proprio proprio di si, ci spero davvero, per me è ormai una bella tradizione".