Meredith, i pm volevano ricusare i giudici della Corte d’assise d’appello di Perugia

Le rivelazioni di Giuliano Mignini nella nuova edizione del suo libro. E quell'incontro con Amanda Knox

Il pg Giancarlo Costagliola, il pm Giuliano Mignini e l'avvocato Carlo Pacelli

Il pg Giancarlo Costagliola, il pm Giuliano Mignini e l'avvocato Carlo Pacelli

Firenze, 1 febbraio 2023 - I pubblici ministeri del caso Meredith volevano ricusare i giudici della Corte d’assise d’appello di Perugia, che assolsero Amanda e Raffaele dall’omicidio della studentessa inglese, ritenendo che non fossero imparziali, sin dall’avvio del dibattimento bis. “Anticiparono il giudizio… Ancora mi rammarico di quell’errore”. 

Il nuovo capitolo del libro

E’ l’allora pm Giuliano Mignini, oggi in pensione, a rivelarlo nel libro “Caso Meredith Kercher, una vicenda giudiziaria tra due continenti” in cui ricorda - opponendo il segreto sui dettagli - la decisione di incontrare Amanda, una volta appesa la toga al chiodo, “La ragazza del West che si è riconciliata con me”. Trecento pagine in cui il magistrato titolare delle indagini sul giallo di via della Pergola ripercorre l’assassino di Mez - “rimasta senza giustizia” e l’indagine contro la Knox, Sollecito e Rudy Guede dentro le aule di giustizia, fino al finale “impossibile” con cui la Corte di Cassazione chiuse definitivamente il caso nel 2015 (“era successo qualcosa di grave.  Mi limito a dire questo”), ma soprattutto fuori dai tribunali. Tra pressioni americane sui processi in corso, l’ostilità manifestata da una parte di stampa internazionale, i retroscena, alcuni misteriosi, che hanno accompagnato 15 anni di testimonianze, dibattimenti e verdetti fino a consegnare all’opinione pubblica una condanna e tante incertezze.  

Mignini: "Giudici senza esperienza penale"

E’ il 2010, novembre, quando dopo la sentenza in primo grado contro  Amanda (26 anni) e Raffaele (25) - Rudy è stato giudicato con l’abbreviato e condannato a 19 anni di carcere - si “profila una composizione anomala del collegio” della Corte d’appello. “Giudici di impostazione civilistica e con pochissima esperienza penale significativa, essendo stati solo pretori di provincia” che “osannati” dallo schieramento garantista”, annota Mignini. 

Il presidente è Claudio Pratillo Hellman, il giudice a latere Massimo Zanetti. L’allora pm ricostruisce il dietro le quinte del collegio: a presiedere sarebbe dovuto essere il presidente della Sezione penale Sergio Matteini Chiari sconfitto però nella corsa a capo della Corte contro cui fece ricorso al Tar. Fu una questione di opportunità, quindi quella di non presiedere il processo più importante del momento.

La decisione di ricusare

“Il processo iniziò con la relazione introduttiva di Zanetti e mi resi conto che non mi ero affatto sbagliato”. Alla terza righe scrisse: “Si deve necessariamente partire dall’unico fatto oggettivo davvero certo ed indiscusso: il 2 novembre 2007, poco dopo le ore 13.00, veniva rinvenuto il cadavere della studentessa inglese Meredith Kercher…” . L’unica certezza era la morte di Mez, un po' poco.

 “Ascoltai scandalizzato la maldestra espressione che avrebbe meritato l’immediata ricusazione dello Zanetti e del Presidente Pratillo, ma la decisione di ricusare poteva prenderla il collega Costagliola (Giancarlo, ndr), che era della Procura Generale mentre noi  (Mignini e Manuela Comodi, ndr) eravamo applicati. Il collega Costagliola non se la sentì” nonostante “Manuela ed io avessimo insistito”. E nemmeno il difensore di parte civile, Francesco Maresca. “Gli rivolsi uno sguardo interrogativo e lo invitai a ricusarli ma nemmeno lui se la sentì: se l’avessimo fatto, avremmo messo in estrema difficoltà, anzi, proprio in croce il Presidente della Corte”. Secondo Mignini, il ‘malvagio’ Chief prosecutor di americana concezione, anche nella formula di riapertura del dibattimento per disporre una perizia genetica la Corte anticipò l’"orientamento assolutorio”.  

Le pressioni americane

Nelle pagine del libro l’allora pm racconta gli incontri con i giornalisti, compresa la presunta anticipazione di un cronista americano della perizia genetica in corso, quella firmata Vecchiotti-Conte che mandò al macero le prove genetiche del gancetto del reggiseno di Mez e del coltello con malcelata soddisfazione dei periti; la folla mediatica assiepata all’esterno delle aule di giudiziaria. “Ebbi modo di soffermarmi sui volti dei giornalisti: colsi espressioni di profonda ostilità e freddezza, curiosità (soprattutto da parte britannica), anche ironiche verso di me, divenuto una sorta di “imputato” alternativo di quel processo “invertito” che era quello mediatico, in un contesto a stelle e strisce”. Leit motiv del libro sono le pressioni americane: la  lobby pro Amanda, fronte innocentista a suo avviso colpevole di vere e proprie invasioni esercitate con lettere, appelli e intromissioni da parte di personaggi che si sono mossi intorno al processo come detective, giornalisti, avvocati, genetisti, giudici e politici, (discutibile intervento di organi istituzionali) in particolare statunitensi. Compresi Hillary Clinton e Donald Trump. “Non volevo crederci quando, nel corso della contesa per la nomination alla Casa Bianca del 2016, comparve un articolo intitolato: “15 cose che (forse) non sai di Donald Trump”, annota il magistrato in cui “si ricordava l’impegno profuso da Trump per la ‘causa’ di Amanda e le minacce di boicottaggio all’Italia”. “È stata un’impresa non facile condurre le indagini e trattare il processo e, contemporaneamente, difendermi dalla colossale operazione di disinformazione che colpiva ogni atto degli inquirenti”, ragiona oggi. 

Nelle trecento pagine della storia appesa di Mez c’è spazio per l’uomo-Mignini: quel nodo alla gola quando mamma Airline chiede il permesso di accarezzare il corpo gelido della figlia composto all’obitorio di Perugia o l’umana sofferenza nel chiedere un ergastolo per due ventenni. “Un magistrato, con un minimo di sensibilità umana, soffre e deve soffocare la sofferenza che avverte nel dover chiedere, con piena convinzione peraltro, una pena così severa per due giovani”. Per i Kerche “che si sono distinti per l’assoluto rispetto della giustizia italiana e per la grandissima dignità con cui hanno sopportato il loro dolore” resta il peso di non aver ottenuto “giustizia e non la otterranno più. E questo è il pensiero che continuamente mi assilla di tutta questa vicenda”, annota Mignini.

Infine l’affresco dei tre protagonisti-imputati: Rudy, il ‘vaso di coccio”, Raffaele, “l’enigmatico” e Amanda, “la fanciulla del west” con la quale ha avuto un confronto nei mesi scorsi. “Volto grazioso e oggi amico di Amanda, l’unica, tra gli imputati, ad essersi riconciliata con me”. Un cambio di passo che molti non hanno perdonato al pm del caso di Mez.

“Sbaglia chi pensa che fare il proprio dovere di magistrato in certe indagini e in certi processi sia un atto di coraggio - è la conclusione del libro - , perché, come diceva il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, certe cose non si fanno per coraggio, si fanno solo per guardare serenamente negli occhi i propri figli”.