REDAZIONE UMBRIA

Lo psicanalista dei seminaristi "Scelta dolorosa, merita rispetto"

Il professor Alvaro Paolacci "Il prete è un essere umano con tutte le sue fragilità"

Ogni anno nel mondo, così dicono le statistiche, ci sono circa 800 religiosi che chiedono la riduzione allo stato laicale, una quarantina in Italia. Una procedura prevista dall’ordinamento ecclesiastico che senza dubbio richiede un percorso fatto di consapevolezza e sofferenza. "È così" dice il professor Alvaro Paolacci, psicanalista, docente a contratto dell’Unipg dove insegna Psicologia dello sviluppo, che per oltre quattro anni ha collaborato anche con il Seminario regionale oltre ad essere uno dei periti del Tribunale ecclesiastico. "In questo arco di tempo – spiega – ho interagito con una cinquantina di giovani che entravano appunto in seminario. Trentacinquenni per lo più, laureati. Test di personalità, per valutare la maturità e il grado di consapevolezza di chi operava quella scelta".

Il percorso inverso, professore, come nei casi del Tifernate deve essere molto doloroso.

"Senza dubbio. In primis per la fragilità umana, e poi perché il prete comunque è un essere umano con tutte le prerogative, compresa quella della sessualità. La scelta di viverla completamente oppure no spetta a lui".

Che idea si è fatto dei casi dell’Altotevere?

"Senza dubbio vivevano una situazione complessa, collegata probabilmente alla solitudine da non intendere però come assenza di un partner. Per capire a cosa mi riferisco basta pensare alla solitudine che tutti abbiamo provato in questo anno di Pandemia. La solitudine è la più grande povertà che possiamo avere, sia dal punto di vista psicologico che biologico. E può capitare che il prete si senta solo. Non a caso a chiedere la riduzione allo stato laicale statisticamente sono di più i parroci, meno i religiosi che vivono in comunità come i frati e i monaci".

Questo perché, secondo lei?

"Perché l’uomo non è fatto per stare da solo. Lo dice anche la Bibbia. Ha bisogno di socialità".

E chi sceglie il percorso inverso fa un cammino duro?

"Senza dubbio. Come è noto si resta sacerdoti a vita ma non si può più officiare, salvo l’estrema unzione in casi particolari. E se si è comunque molto convinti del proprio ruolo a fianco degli ultimi come credo avvenga in questi due casi, scegliere di diventare altro è doloroso".

Lei parla di solitudine?

"Io rifletto sul fatto che nella società attuale la rete sociale è cambiata moltissimo. Esiste una rete ’social’ che ci isola però ancora di più. Perchè il nostro sviluppo affettivo sia sano serve un rapporto diretto, serve socialità. Guai a confondere la relazione con la ’connessione’".

La comunità sembra aver apprezzato comunque la lealtà, la trasparenza dei preti in questione. C’è comprensione.

"Parecchi anni fa un religioso mi disse che la prima scelta fatta, quella di diventare parroco, risaliva ai suoi 18 anni, mentre la seconda, quella della rinuncia, ai quaranta. Le definì tutte e due molto faticose. I parrocchiani lo sanno".

Viene da chiedere l’amore che cos’è?

"Un fatto naturale. Senza saremmo delle intelligenze artificiali. Certo, poi c’è la scelta dell’oggetto d’amore. Credo che sia importante comprendere e non giudicare...".

Donatella Miliani