Il torcolo, tradizione gustosa con ricetta certificata

Forma circolare con la corona di fiori al collo del santo e cinque tagli, come le porte cittadine

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La festa è una tradizione, un culto, una memoria che resistono, non soffrono il passare del tempo, ammantate dal soffio di un poesia piena di sospiri. San Costanzo, primo vescovo e patrono, resta nel cuore di Perugia e la ricorrenza raccoglie sempre una partecipazione calda, costante, sorridente, devota. Martire all’epoca di Marco Aurelio, catturato, torturato, convertì i persecutori, ripreso, gli venne mozzata la testa. Da allora la sua figura è celebrata, si direbbe con una dimestichezza che sa di familiare bonarietà. Non incute distacco il suo ricordo che si sposa alla consuetudine felice del torcolo, a una lieta comunanza di gusto che annulla i millenni. Certo mai come in questo caso la gastronomia è un simbolo vero e guai a disattenderlo. Si ricorda come l’Accademia della cucina abbia voluto ricordare a distanza di vent’anni la certificazione degli ingredienti avvenuta nel 1999 davanti al notaio Brunelli. Fede, storia, ricerche accurate: in sintesi gli ingredienti codificati sono farina di frumento tenero, lievito, zucchero, olio extra vergine umbro, candito di cedro. In più uva passa, zucchero, semi d’anice. Niente scherzi, questa è legge. Si aggiunge che la forma circolare può alludere alla corona di fiori posta attorno al collo del santo e i cinque tagli si ritiene rammentino cinque porte che danno sull’interno cittadino.

Una volta ragazze in età di marito andavano alla chiesa fuori porta per fissare la statua lignea del santo: giochi di luce o credulità talora pareva che strizzasse l’occhiolino. Segno che le nozze erano vicine, entro l’anno. Tutto tramontato. Come i forni di Ferdino e Grevone, meta ambita dei bisnonni. Ora il torcolo si fa in ogni stagione o quasi ed è sempre buono. Curiosità. Un dipinto del Perugino nei Musei Vaticani vede la Vergine con Costanzo, Lorenzo, Ercolano. E Lodovico, dimenticato.

mimmo coletti