MICHELE NUCCI
Cronaca

Coronavirus, i due mesi che hanno cambiato l’Umbria

Il 28 febbraio il primo contagiato: da allora anche la terra di San Francesco ha dovuto fare i conti con il terribile coronavirus

Coronavirus

Perugia, 28 aprile 2020 - Sono passati due mesi esatti da quando è "esplosa" in Umbria la crisi epidemiologica. Otto settimane che ci hanno già cambiato la vita. E altre ne seguiranno. Era il 28 febbraio e Gabriele Bianchini, 32 anni di Montecastrilli – ora guarito e in salute – veniva registrato infatti come il primo umbro positivo al Coronavirus. Fino ad allora i più ottimisti – e anche un po’ ingenui – pensavano che la Terra di San Francesco potesse rimanere immune al coronavirus.  

E invece siamo stati investiti in pieno come le altre regi oni dal Sars-Cov-2, come la Cina, come il resto del mondo. Da quel giorno è stato un crescendo di eventi, spesso spiazzanti, totalmente inaspettati, che stanno riscrivendo la storia e che ci hanno già segnati. Una settimana dopo quel 28 febbrio sono state chiuse le scuole e si è iniziato a capire che saremmo andati verso una crisi nera: in quei giorni si sono iniziati a fare i calcoli sulla crisi del turismo, sui negozi che chiudevano, sulle fabbriche che tiravno giù le saracinesche, sullo smart working.

Ma non c’era ancora il lock-down e c’era persino chi lanciava slogan come "perugianonsiferma". In tutto ciò l’unica cosa che sembrava volesse andare avanti era il calcio: il Perugia (8 marzo) vinceva a porte chiuse contro la Salernitana, dando qualche speranza, non solo ai tifosi. Il giorno dopo arriva il primo duro colpo per l’Umbria: il Festival del giornalismo non si fa. Qualcuno scrive che è una scelta avventata, altri che ha fatto bene Arianna Ciccone a rinviare tutto al 2021. I dati sui pazienti positivi al Covid non sono ancora allarmanti: sia viaggia tra i 9 e i 10 contagi al giorno, ma la tensione negli ospedali inizia a salire. Intanto però è scattato il "restiamoacasa": chiude tutto, pure bar e ristoranti, il paesaggio cambia radicalmente, le strade e le piazze si svuotano, le città piombano in un silenzio surreale, le famiglie si tappano in casa. Il 12 marzo c’è la prima vittima in Umbria: Ivano Pescari, 66 anni di Città di Castello, musicista molto conosciuto nell’Alto Tevere.  

I contagi crescono, le Rianimazioni rischiano di andare in crisi: gli ospedali vengono rovesciati come calzini. A Perugia gli uffici dei professori universitari diventano un nuovo reparto di Malattie infettive, Pantalla diventa ospedale-Covid, Orvieto viene chiuso per alcuni giorni perché infetto. Le vittime aumentano: il 29 marzo muoiono cinque persone in un giorno solo. Il direttore alla Sanità, Claudio Dario, confesserà di aver avuto paura: "La crescita dei malati era esponenziale e abbiamo temuto che le Terapie intensive non ce la facessero". E invece il contagio mostra i primi segnali di rallentamento: Pozzo viene chiusa sì (poi toccherà a Giove), ma l’Umbria isolata, il lavoro capillare della Asl nei territori e nelle Rsa produce i frutti: siamo la regione con meno contagi e con il minor tasso di letalità.  

I giorni iniziano ad assomigliarsi un po’ tutti: lentamente i positivi scendono, crescono i guariti e il fattore R0 scende sotto l’1. I Ceri però si fermano come nella Seconda Guerra mondiale. Intanto la Regione inizia a preparare la Fase 2 nella quale entreremo tra una settimana. Ma la luce in fondo al tunnel per la nostra economia ancora non si vede.