DORIANO RABOTTI
Sport

Juve-Napoli è sempre un romanzo popolare. Il duello eterno che infiamma il Belpaese

Va in scena domani il ’derby sociale’ d’Italia. Sivori, Altafini, Higuain, Sarri: quanti ’tradimenti’ sul campo, è molto più di una partita di calcio

Juve-Napoli è sempre un romanzo popolare. Il duello eterno che infiamma il Belpaese

Juve-Napoli è sempre un romanzo popolare. Il duello eterno che infiamma il Belpaese

È molto più di una partita: è il romanzo popolare di una nazione incompiuta, di un’unità slabbrata che ancora divide, di un’eterna sfida che parte dalle strade e dalle tasche della gente prima di arrivare sui gradoni di uno stadio. È il derby sociale dell’Italia, Juventus-Napoli. Domani sera sarà soltanto un incontro sul prato verde, ma quanta storia del Belpaese c’è dietro uno scontro che è incontro e quindi contatto, molto più di quanto le parti in causa siano disposte ad ammettere?

Domani sera sarà anche Allegri contro Mazzarri, Livorno quartiere Coteto contro San Vincenzo in provincia, e almeno nella disfida turistica vince Walter perché in comune i due luoghi hanno giusto il mare: il capoluogo è porto ed industria, la località di vacanza è da cartolina, una volta si sarebbe definita ’amena’.

Ma la vera rivalità non è tra i due toscani, è tra Torino e Napoli, e qui la questione si fa un po’ più articolata. Parte da molto lontano, addirittura tre secoli, Savoia contro Borboni: Camillo Benso conte di Cavour non era un regista nel senso calcistico del termine, lo statuto Albertino non si chiamava così per Bigon che poi avrebbe fatto sognare il Napoli, ma insomma siamo sicuri che non siano ancora vere, sottotraccia, le differenze solo apparentemente cancellate nel 1861 dall’Unità d’Italia e dall’estensione del potere di Torino su tutto il Paese, compreso il sud? Quanto riscatto sociale e quanto spirito di rivalsa che andavano ben oltre i destini calcistici c’erano negli scudetti di Maradona, quanta ribellione alla Masaniello che non accetta di finire stritolato negli ingranaggi di una storia che si ripete sempre uguale?

Nord contro Sud è ancora una partita aperta, e in tempi come questi in cui i simboli scarseggiano, è fin troppo facile appoggiare la rivalità sui colori delle magliette da calcio, per quanto negli ultimi anni tutte le squadre si siano sforzate di straziarli nel nome del merchandising, quei colori. Savoia contro Borbone è il potere che affronta il popolo, anche se pure nel tifo bianconero la componente ’proletaria’ è importante, forte è la presenza di emigranti che sotto la neve delle Alpi hanno trovato lavoro, stabilità e identità, potendo scegliere avrebbero preferito farlo al mare, ma evidentemente non si poteva.

Anche la storia dei simboli sportivi è un duello sociale tra quadrupedi: la zebra juventina non è dovuta solo alle strisce bianche e nere del club, rappresenta anche la nobilità piemontese. Il ciuccio napoletano in realtà era un cavallo, come da simbolo cittadino, ma a forza di perdere divenne un asinello stanco negli anni trenta e poi fu adottato come simbolo di una fatica indomabile, non sa correre ma nemmeno s’arrende.

E poi ci sono i tradimenti sul campo, quelli sì solo sportivi. Vissuti male soltanto in un senso di marcia, quello che ha portato alcuni idoli del popolo che sta sotto il vulcano a indossare la maglia dei ’padroni’: fecero scalpore, ma non provocarono la stessa rabbia, i trasferimenti dalla Mole al Vesuvio di Omar Sivori o di Massimo Mauro che completò il suo incredibile album personale di compagni andando a giocare con Maradona dopo Zico e Platini.

Non si può dire certo lo stesso dei traslochi di José Altafini, che per questo fu ribattezzato ’Core ’ngrato’ dai tifosi partenopei. O negli anni più recenti di Gonzalo Higuain, bandiera dell’assalto fallito al trono subito sbiadita nel passaggio dal colore al bianco e nero, o ancora di Maurizio Sarri (pur con l’intermezzo al Chelsea), uno che non avresti mai pensato di vedere vestito da juventino, e infatti pur vincendoci uno scudetto, nel paesaggio sabaudo non si è mai riuscito ad integrare.

Ovviamente domani sera né Chiesa o Vlahovic, né Osimhen o Kvaratskhelia penseranno a tutto questo, in campo.

Ma chi dalle curve urlerà per loro, un po’ vivrà anche questo duello eterno.

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