1990, brividi e ingiustizie. Ma Firenze sfiorò la coppa

Dal Baggio "pattinatore" di Kiev, alla "foca" Marco Nappi, all’assalto di Sochaux. La storia di una cavalcata che si concluse nel modo peggiore contro la Juventus . .

1990, brividi e ingiustizie  Ma Firenze sfiorò la coppa

1990, brividi e ingiustizie Ma Firenze sfiorò la coppa

La Fiorentina si fermò ad Avellino e dopo tutto fu diverso. Perché quella notte di 33 anni fu una sorta di spartiacque. Il confine fra un mondo che se ne andava, quello del mancato scudetto dell’82, dei Pontello e di Baggio, che da lì a qualche giorno se ne sarebbe andato alla Juve, e l’inizio di un nuovo ciclo viola che in Europa non ci avrebbe mai più condotti così in alto. Si, la notte della nostra ultima finale europea, la finale della coppa Uefa con la Juventus del maggio 1990, è un ricordo ancora nitido, intriso di emozioni forti e malinconie incancellabili. A quell’appuntamento la squadra viola era arrivata del tutto inaspettatamente. I Pontello da tempo avevano già iniziato la smobilitazione e la Fiorentina catenacciara targata Bruno Giorgi tutto sembrava tranne che una squadra capace di innescare sogni. Infatti in campionato stenterà, salvandosi all’ultima giornata. Ma anche allora, in Europa i viola cambiavano volto. Così, contro pronostico, la Fiorentina aveva fatto fuori colossi quali l’Atletico Madrid di Futre; la Dinamo Kiev del colonnello Lobanowsky; e poi il Werder Brema, che nei quarti aveva distrutto il Napoli di Maradona per 5-1. Resta nella mente la notte epica di Sochaux, cittadina francese grande quanto Bagno a Ripoli, quando lo sciagurato Faccenda si fece espellere al 3° del primo tempo per un’entrata da codice penale e la Fiorentina, stoica, si chiuse in un ideale Fort Alamo davanti a Landucci, resistendo per 87 minuti agli assalti francesi. Resta il gesto circense di Marco Nappi, che con il Werder Brema si incollò la palla sulla testa attraversando il campo per 40 metri, in quello che da lì in poi sarebbe diventato "il gesto della foca". Restano le partite leggendarie di Dunga e la notte fatata di Baggio a Kiev, quando su un campo che era una lastra di ghiaccio, si divertì a fare come gli elfi delle fiabe senza farsi prendere da nessuno. Certo, come un dolore sottopelle, resta anche la conclusione amara di quella coppa. La doppia finale con la Juventus, marchiata da errori arbitrali e da scelte pessime dei vertici del calcio (quella di mandarci ad Avellino).