REDAZIONE SIENA

Passioni d’arte di Federigo Tozzi

La mostra al Santa Maria evento clou del centenario. Dal gotico senese alle illustrazioni di Viani

Dell’intero programma messo a punto dal Comitato promotore delle celebrazioni organizzate dal Comune per celebrare il centenario della scomparsa di Federigo Tozzi il piatto forte era la mostra sul rapporto del grande scrittore con le arti figurative: un tema ancora da esplorare nei suoi molteplici svolgimenti. L’esposizione che si snoda al sesto piano del Santa Maria della Scala risponde in pieno all’obiettivo perseguito. Curata magistralmente da Riccardo Castellana, Michele Simona Eremita e Luca Quattrocchi, disegna un itinerario ricco e sorprendente. Finalmente una mostra frutto di accuratissime ricerche e prodotta a Siena, con energie intellettuali qui attive, e non una delle tante precotte offerte chiavi in mano e ospitate per riempire i vuoti. Si dipana scandendo tempi, predilezioni e scelte che accompagnarono lungo tutta la sua tormentata esperienza un autore ancora in attesa dei riconoscimenti che merita.

Degli anni più intensamente senesi, cioè fino al 1914, risaltano opere in profonda sintonia con una nervosa scrittura mai quieta e appagata. Come un pellegrino il giovane Tozzi girava per le chiese rapito dalle tavole del gotico senese, dai fondi oro delle Madonne, dal Lorenzetti a San Francesco: un patrimonio fondante mai dimenticato. Va tenuto presente anche se ovviamente non è in mostra. Che inizia con alcuni gessi restaurati e con la drammatica ’Crocifissione’ in bronzo di Patrizio Fracassi, sodale tra i più frequentati, morto a 28 anni suicida. Le incisioni di Gino Barbieri e Ferruccio Pasqui per il poema ’La città delle Vergine’ esaltano una misteriosa città: “Ombre delle tue torri sul mio cuore! Ombre feroci, perfide di agguati! Oh, noi ci siano lungamente amati, in gran silenzio, d’un immenso amore…’.

Traspare dai versi l’attrazione per un antico spazio urbano percorso da crudeli odi, eppure suscitatore di un fascino inestirpabile. L’anarcoide viareggino Lorenzo Viani fu artista tra i più vicini al mondo tozziano, popolato da vinti e derelitti, rappresentati con furente espressionismo. Non a caso Tozzi avrebbe da lui voluto l’illustrazione della copertina di ’Tre Croci’. La sezione incentrata sulle sue incisioni è tra le più consonanti con lo "scarnificato paradigma" dello stile che accomuna entrambi. Umberto Giunti, allievo di quella straordinaria fucina che fu l’Istituto d’arte, geniale falsario ch’ebbe a maestro Joni, si dedicava a scene storiche come il più popolare fratello Vittorio: fedele a una tradizione che Tozzi sentiva stretta, ma mai rinnegò o rimosse. Nel 1914 Tozzi fece fagotto e da Castagneto si trasferì a Roma, dove avviò fruttuosi contatti con i protagonisti di una nascente industria culturale. Gli incontri con gli artisti operanti nella capitale schiusero orizzonti nuovi. Luigi Pirandello fu uno degli estimatori più acuti e generosi. L’esposizione ricrea il clima di quegli anni e consente di vedere i quadri sui quali Tozzi scrisse rivelando doti fino allora sopite. Per la collettiva allestita nella Casina del Pincio nel 1918 Tozzi pubblicò per il ’Messaggero della domenica’ un saggio critico, soffermandosi su lavori che attestavano la spinta verso un non ripetitivo ’ritorno all’ordine’. Difese a spada tratta la carica innovativa del romano Ferruccio Ferrazzi. Un suo malinconico ritratto di donna è stato preso a immagine simbolo della mostra. Che merita una lenta visita, di quelle che lasciano il segno.

Roberto Barzanti