"Non possiamo operarlo, mancano delle placche": resta paralizzato

Due specialisti del policlinico di Siena sotto processo per omicidio colposo. Il 48enne, portato a Nottola e poi ricoverato alle Scotte, morì due anni fa

L'ospedale "Le Scotte"

L'ospedale "Le Scotte"

Siena, 22 marzo 2023 – L’incidente stradale in via Baccelli a Chianciano, il trasferimento a Nottola. Le dimissioni, poi il dietro-front: il paziente deve essere portato alle Scotte. Qui l’uomo sarebbe peggiorato venendo operato d’urgenza ma restando paralizzato. Poi oltre un anno d’inferno, fino alla morte. Era il 17 gennaio 2021. Un calvario ripercorso ieri in tribunale dalla vedova sollecitata dalle domande del pm Silvia Benetti che sostiene l’accusa nel processo dove sono imputati per omicidio colposo due specialisti delle Scotte, difesi dall’avvocato Luca Goracci.

Le disavventure del 48enne, per una vita idraulico a Chianciano e successivamente trasportatore, erano iniziate il 24 ottobre 2019. Ebbe un incidente in via Baccelli, fu soccorso. Scoprirono che l’alcol nel sangue era oltre il limite. Ma non derivarono da questo i suoi problemi, secondo anche quanto emerso dall’inchiesta e confermato dal racconto della vedova. "Fu portato a Nottola, gli fecero la tac. L’indomani mi dissero che veniva dimesso perché aveva solo delle vertebre spostate. Però mio marito si lamentava. ’Sto male, mi gira la testa, diceva. Ho il collo rotto’, le sue parole. Gli fu applicato il collare ma, durante il tragitto in auto fui costretta ad andare pianissimo: si lamentava ad ogni buca. Quando arrivai all’altezza di Villa Bianca ricevemmo una telefonata da Nottola: dovevamo tornare indietro perché per il policlinico di Siena la cosa era più grave", ricostruisce la donna. Quindi il rientro a Nottola da dove poi il 48enne fu trasferito alle Scotte. Dove un ulteriore accertamento svela due vertebre rotte. E viene ricoverato.

"Mi dissero che ci voleva un intervento – spiega al giudice Simone Spina la donna, che tuttora abita a Chianciano – però mancavano delle placchette, non le avevano a disposizione. Bisognava aspettare fino a giovedì per l’operazione. Era sabato. Mio marito ripeteva ’non ci arrivo, non ci arrivo. Sto troppo male’. Il giorno seguente perse la sensibilità del braccio destro, fui rassicurata dalla dottoressa (che è ora imputata, ndr). Andava collegato al fatto che era allettato".

Poi la situazione precipita. L’indomani la donna viene convocata d’urgenza al policlinico perché il marito è stato portato di corsa in sala operatoria. Apprende da un altro paziente ricoverato nella stessa stanza che l’uomo non riusciva più a vedere. Allarme rosso: era stato avvertito il primario, anche lui ora imputato, che l’aveva fatto operare il più velocemente possibile.

"’Gli ho salvato la vita, mi disse il chirurgo, ma resterà fermo dalla vita in giù", riferisce la testimone. Che non riusciva a darsi pace del perché, da una cosa da nulla, era rimasto paralizzato. Il calvario prosegue a Firenze dove resta ricoverato circa un anno e tre mesi "durante i quali - ancora la donna – patì le pene dell’inferno. ’Vorrei solo che capissero cosa si prova a sentire prurito al naso e non riuscire a grattarsi perché non muovo le braccia’, ripeteva sempre mio marito. Dissero che si era formato un ematoma che aveva compresso il midollo".

La moglie era accompagnata ieri dall’avvocato Mauro Cesaro ni che ha seguito la vicenda, conosceva bene l’ex idraulico. Che alla fine si alimentava con la peg (una sonda attraverso cui passa la nutrizione) ed era intubato. Un caso umanamente delicato che vivrà la prossima udienza un passaggio importante nell’economia del processo: saranno ascoltati in contradditorio i consulenti tecnici e anche altri testimoni della difesa dei due specialisti. La vera partita si ’gioca’ qui.