
Gianfranco Sciarra
Siena, 3 aprile 2021 - Il dolore di una perdita che si rinnova per la famiglia di Gianfranco Sciarra. Il sollievo composto di un medico, Alessandro Iadanza, che ha sempre rivendicato di aver agito in maniera scrupolosa. Le due facce di una medaglia nel processo che vedeva al centro la morte del politico, consigliere comunale e dirigente Usl che a Siena aveva fondato anche la Federazione dei Verdi. Il cardiologo delle Scotte, difeso dagli avvocati Paola Rosignoli e Stefano Cencini, era accusato di omicidio colposo. E ieri dopo mezz’ora di camera di consiglio il giudice Chiara Minerva l’ha assolto ‘perché il fatto non sussiste’. Fra sessanta giorni le motivazioni della sentenza. Il legale Giuseppina Berni dello studio Notari, che assisteva il fratello di Sciarra, Claudio, costituito parte civile, si riserva di leggerle e valutare un’eventuale azione civile contro l’Azienda ospedaliera. E’ stata una ‘battaglia’ sempre corretta ma strenua in aula. Andata avanti per molteplici udienze. Pochi giorni fa c’era stato anche un faccia a faccia fra i periti dell’imputato, della parte civile e della procura per cercare di fare massima chiarezza. Così aveva voluto il giudice. Sciarra, a ricostruirlo era stata in aula la moglie Sandra Parentini, nel marzo 2019, si era sottoposto ad un intervento di angioplastica, il secondo in pochi mesi. Era il novembre 2015. «Fu il medico a dirmi che nella manovra la placca si era mossa – riferì la donna – ed aveva fatto una piccola graffiatura alla coronaria. Da qui partì tutto», le sue parole. Poi il pianto quando ricordò che dopo la dimissione la notte era trascorsa abbastanza bene. Scese al mattino a guardare la posta. Lo trovò lì, senza vita. «E’ morto per tamponamento cardiaco», raccontò. «Nessuno è stato in grado di dirci quando si è verificata la perforazione», argomenta il pm Nicola Marini prendendo la parola. «Non possiamo arrivare a dire che c’è stata imperizia o negligenza di Iadanza perché non è stato fatto un ulteriore controllo eco-cardiografico». E ancora: «Bene abbiamo fatto ad approfondire . Sempre pronto a rivedere le mie ipotesi iniziali», aggiunge il pm sottolineando al giudice Minerva «che ci troviamo di fronte ad un caso senza linee guida ma buone pratiche a cui l’imputato si è attenuto. Di fronte a ciò la richiesta di assoluzione». Prende le distanze l’avvocato Berni: «Non condividiamo le conclusione della procura. Ricostruisce la vicenda, soprattutto si sofferma sulle tre criticità del caso: la scelta di non intervenire con stent, «altrimenti c’era una possibilità altissima di salvasi», la gestione post-operatoria le dimissioni. Tocca poi al pool difensivo Rosignoli-Cencini evidenziare perchè non c’è omicidio colposo da parte del loro assistito.