"L’adolescente parla agendo Il branco? Dà protezione"

Mazzei, psicoterapeuta e coordinatrice di ’Sp.A.M.’, analizza il fenomeno "La funzione genitoriale è un esercizio complesso, ancor di più dopo il lockdown"

di Laura Valdesi

SIENA

Non più i maschi, adesso anche le ragazzine diventano violente. Picchiano le coetane per esercitare la supremazia, puniscono chi sgarra alle regole del branco. "La violenza più che con il genere ha a che vedere con un’intenzione comunicativa. L’adolescente per dire agisce. Siamo in una fase dello sviluppo nella quale predilige fare rispetto ad esprimersi e parlare. Un esempio: se un giovane intende manifestare il proprio malessere magari si taglia, sia maschio o femmina. Non fa differenza", osserva Alice Mazzei, psicoterapeuta e psicologa dell’Istituto di terapia familiare di Siena. Voluta dal cardinale Augusto Paolo Lojudice a coordinare la ’Sp.A.M. Spazio ai Minori’, commissione dell’Arcidiocesi che nasce all’interno del più ampio servizio nazionale per la tutela dei minori voluto fortemente da Papa Francesco e dalla Cei. L’obiettivo primario è di contrastare ogni forma di abuso o maltrattamento a danno di bambini e giovanissimi.

Cosa l’ha colpita nella vicenda delle baby bulle al centro dell’inchiesta della polizia?

"Il branco che protegge e risponde alla necessità di aggregazione. Gli adolescenti, parlo in linea generale, hanno bisogno di socializzare. Se intendono esprimere un malessere, teniamo vera questa ipotesi, lo comunicano anche attraverso la violenza. Farlo in gruppo vuol dire sentirsi in una dinamica che protegge e dà identità".

Il fenomeno delle baby gang non è nuovo.

"Ci hanno preceduto dei modelli, pensiamo a quelli delle periferie Usa e sudamericane in cui l’aspetto appunto della gang ha una valenza protettiva. Il mondo in cui l’adolescente si sente al sicuro, dove esistono ruoli, gerarchie, regole interne che consentono una gestione organizzata. Per certi aspetti sostituisce quella familiare. Magari si commettono reati e viene dato vita a situazioni che richiedono l’intervento penale. Ma se lo guardo con l’occhio di un adulto che si preoccupa si tratta di tentativi per provare a stare bene, ad alleviare un malessere".

Si torna lì: il malessere delle nuove generazioni.

"La violenza è un’azione comunicativa, si è detto. Faccio qualcosa per essere visto ma da chi? L’interlocutore privilegiato nella fase dell’adolescenza è la famiglia".

I genitori hanno un compito difficile.

"Il loro è un esercizio complesso. Ancora di più se ci sono eventi come il lockdown che non semplificano la vita di famiglie e figli. Può capitare che, rispetto all’azione deviante, il giovane alzi il tiro mettendo in atto una serie di condotte pericolose perché ha necessità che qualcuno lo contenga e lo protegga. Di sapere che mentre si muove nel mondo esplorando c’è chi si occupa dell’adolescente dal punto di vista emotivo".

Le famiglie sono sempre più prese dalla vita frenetica e difficile, a partire dal punto di vista lavorativo.

"Magari affrontano una serie di preoccupazioni che non consentono loro di esercitare la funzione sopradetta di contenimento. Lo spazio mentale è saturo ed impedisce a madri e padri di seguire i figli come vorrebbero o come sarebbe necessario. C’è sempre una sofferenza di fondo, non è mai una scelta di menefreghismo".

I social amplificano anche la violenza.

"Ogni aspetto passa di lì. Se l’azione deviante è comunicativa si utilizzano i social per accentuarla, anche a costo di incorrere in gravi sanzioni".

Cosa si sentirebbe di dire alle presunte baby bulle?

"Il comportamento violento le rende visibili per un aspetto ma nessuno metterà mai in discussione che lo sono anche per altro. L’intenzione comunicativa ha raggiunto il suo scopo ma ogni volta che un minore commette un reato, anche in un tessuto sociale così piccolo com’è Siena, gli adulti devono interrogarsi su quali strumenti hanno a disposizione affinché queste ragazze possano fare esperienza di contenimento e di visibilità riuscendo a rispecchiarsi in uno sguardo di amore e di valorizzazione".