Un intellettuale di rara capacità di coinvolgere, di stabilire un affascinante rapporto fra studioso e lettore, ci ha lasciati: è scomparso Florio Carnesecchi, classe 1951, antropologo che ci ha conquistato con le sue ricerche, le sue svolazzanti fiabe dove era facile perdersi.
Quando scompare un personaggio attento, profondo ma anche prolifico di pubblicazioni, rischiamo di perderci in un elenco di studi e libri. Meglio cominciare dalla sua affabilità, dalla capacità di coinvolgerci, da quel "raccontare" che non si spiega, ma non si perde, ci conquista. Davanti a un microfono ma anche in compagnia di un buon bicchiere. D’altra parte "Senesi a tavola" era uno dei testi che molti preferivano, assieme alla sua compagnia.
Con lui "Non c’è bestemmia", c’era solo tutto un mondo antico, fatto di lupi mannari, di boschi fitti che conquistavano subito la nostra fantasia. Raccoglitore di fiabe, di antiche usanze, di "Le penne del pollo. La tradizione orale a Castelnuovo val di Cecina e Travale". Si era formato alla scuola di Pietro Clemente, il che significa non solo un nuovo modo di risolvere l’antropologia, ma soprattutto di raccontare alla gente una scienza, affinché sia e resti popolare il senso delle cose, l’alba dei tempi. Carnesecchi era stato un dirigente bancario, quel senso duttile dell’intelligenza che si trasforma per altre esigenze di vita. Ma soprattutto era uno studioso, senza la formalità di tanti, con la capacità dei pochi.
"Le novelle de’ Montierini" meriterebbe di mettersi davanti ad un fuoco acceso a raccontarlo ai più giovani, quelli che erano il suo obiettivo più caro e ricercato. Quando leggo un suo testo torno ragazzo, è inevitabile, e lo farò anche in questi giorni per onorare tutto il suo lavoro, la sua vocazione. Per ricordarci che nella nostra vita abbiamo sempre un piede nella favola e l’altro nell’abisso.
E non possiamo dimenticarci di lui, ad esempio delle notti piene di lucciole all’Orto de Pecci. Forse non credevamo a quelle favole. Ma sicuramente a chi ce le spiegava.
Massimo Biliorsi