Quando varchi la soglia della sua piccola bottega, l’odore di cera, cuoio e pelle, arriva dritto al cuore. E’ l’odore tipico di un’arte antica; un viaggio a ritroso nel tempo, tra strumenti in ferro e in legno e macchinari che hanno resistito allo scorrere degli anni. Sugli scaffali scarpe, scarpe e ancora scarpe, qualche borsa e qualche altro oggetto da cui qualcuno non vuole ancora separarsi. Per Roberto Marchetti, fare il calzolaio non è solo un lavoro, ma anche una passione: la bottega di via Mattioli l’ha ereditata da babbo Asio. Tra quelle mura ci è cresciuto, da piccolo in negozio andava anche con gli amici, dopo aver giocato in piazza Sant’Agostino. Iniziate le scuole superiori, ha deciso di seguire le orme del padre, anche se già dalle medie gli faceva da ‘aiutante’. E oggi porta avanti la sua professione di artigiano, a dispetto del consumismo dilagante, dei centri commerciali, degli acquisti usa e getta. "Sì, le cose vanno bene", dice. E si guarda intorno, a indicare il tanto lavoro che lo aspetta. "Sono qua da molti anni e ho sempre avuto numerosi clienti – racconta –: l’unico momento di leggera flessione è stato nel ’95, mi sembra, quando in zona venne chiuso il traffico e per le persone era più difficoltoso raggiungermi. Ma si è trattato di qualche mese. Ora non mi lamento…". A premiarlo la qualità. "Ho imparato il mestiere da mio babbo che realizzava anche scarpe nuove – spiega – e sapendole anche costruire posso avere un’esperienza diversa rispetto ad altri. Alla Pantera ho fatto tutte le scarpe del Giro, sessanta paia: per un inverno ho lavorato anche il sabato sera e a volte la domenica mattina, in un momento anche delicato, perché era morto mio padre. Per diverse Contrade svolgo lavoretti di manutenzione". La professione, pur ancorata al passato, nel tempo è cambiata. "Quando ho iniziato, le scarpe erano realizzate con meno materiale sintetico, le suole erano più di cuoio, ora di suolature in cuoio se ne fanno pochissime".
La più grande soddisfazione? "Quando un cliente mi porta un oggetto parecchio malconcio, glielo rendo in perfette condizioni e lo vedo soddisfatto. Alla fine, il mio lavoro si basa molto sul passaparola, sull’affidabilità, sulla gratificazione di chi si affida a me". Marchetti ha una figlia, ma non è intenzionata a proseguire la tradizione di famiglia. "Finché potrò andrò avanti – afferma l’artigiano – anche perché le nostre non sono pensioni stellari. Spero di trovare qualcuno a cui affidare la bottega, altrimenti dovrò chiuderla. Il mio è un mestiere che richiede tanto impegno, tante ore di lavoro, anche con la febbre. Un giovane, magari, è più attratto da una professione con ferie pagate, con la tredicesima… Fare l’artigiano più che una professione, è una passione, serve voglia. Spero che qualche ragazzo possa tramandare la nostra arte".
Angela Gorellini