Delitto della tassista, indagati due uomini

L’avvocato Meini: «Il mio assistito non ha esitato a sottoporsi all’accertamento del dna»

Il delitto della tassista: agosto 1997

Il delitto della tassista: agosto 1997

Siena, 6 novembre 2020 - I nomi ora sotto la lente della procura della repubblica sono due. Usciti dalla rilettura delle carte dell’inchiesta dell’omicidio di Alessandra Vanni, la tassista senese uccisa dietro al cimitero di Castellina in Chianti 23 anni fa. Un delitto irrisolto che ha lasciato il segno in città. «Fa sempre male sentirne parlare, una ferita ancora aperta perché non si è mai saputo chi l’ha strangolata», commentavano in tanti ieri in città. Due nomi, tornando all’inchiesta, usciti da quei fascicoli voluminosi che si sono accumulati nel corso degli anni perché, dopo la prima fase delle indagini, si sono susseguiti nel tempo ulteriori accertamenti. Finora però senza esito. 

«Confermo che il mio assistito è stato ascoltato – si limita a dire l’avvocato Jacopo Meini, che difende un uomo di 58 anni che vive nella nostra provincia, nel Chianti senese –; ancora siamo in attesa dell’esito degli accertamenti a cui è stato sottoposto la scorsa settimana. Qualora da ciò derivassero sviluppi annuncio fin da adesso che chiederemo le contro-analisi». L’uomo era stato interrogato per oltre due ore in modo da ricostruire le sue mosse quando si consumò il delitto, nella notte fra l’8 e il 9 agosto 1997, verificandone ulteriormente l’alibi. «Posso aggiungere – conclude l’avvocato Meini – che il mio assistito è tranquillo tanto che non ha avuto alcuna esitazione a sottoporsi alle verifiche per l’esame del dna».  L’uomo è indagato: il fascicolo riaperto dal pm Nicola Marini è per omicidio aggravato e per rapina. Come si ricorderà a quest’ultimo riguardo, il borsello di Alessandra Vanni che avrà contenuto, in base alle corse effettuate quella sera, circa 150 mila lire, era scomparso. Mai più ritrovato. Anche se il movente non è mai stato ritenuto quello della rapina.  Ci sarebbe tuttavia anche un altro nome a cui sono arrivati gli investigatori rileggendo le carte dell’indagine. Con le moderne tecniche di laboratorio e l’innovazione tecnologica, che all’epoca dell’omicidio mancavano, si spera di poter completare quel quadro che, a distanza di 23 anni, è in verità particolarmente complesso.

Tra le difficoltà del caso, il fatto che Alessandra Vanni non aveva mai guidato di notte il taxi dello zio. Ma quella sera decise di farlo dopo il turno al centralino perché lui era all’estero: non poteva essere dunque un delitto premeditato. I suoi assassini, questa una delle piste seguite, salirono sull’Alfa 155 bianca durante il percorso verso Castellina in Chianti, dopo che lei aveva inserito la tariffa extraurbana, partendo da Piazza Matteotti a Siena. Successe qualcosa che lei non avrebbe dovuto vedere? Forse pensarono che la giovane avesse notato particolari destinati a restare segreti? Aspetti che hanno reso molto difficile comporre il puzzle. Non c’era insomma una cerchia di sospetti sui quali indagare. 

«Una vicenda che non sono mai riuscito a dimenticare, spero che i colleghi possano fare luce su questo delitto che ha profondamento colpito la città», spiega Roberto Rossi, attuale procuratore capo di Arezzo. All’epoca dell’omicidio era infatti pm a Siena e fu proprio lui a condurre l’inchiesta da subito sul delitto della tassista. «Mi rendo conto, per aver conosciuto la vicenda in maniera approfondita, dell’assoluta difficoltà nel fare luce. Massima fiducia ai colleghi che, tra l’altro conosco bene», conclude Rossi.