
Prima di approdare alla direzione de L’Espresso, la carriera di Alessandro Rossi hè passata per testate come L’Unità, Repubblica, Forbes. Ma all’inizio di questa storia, il giornale in cui il neo direttore del settimanale ha mosso i suoi primi passi è stato il Nuovo Corriere Senese. E all’incontro con gli studenti del Laboratorio di giornalismo del Dipartimento di Scienze sociali, politiche cognitive dell’Università di Siena, di quel giornale ce n’era un bel pezzo. Insieme a Rossi, infatti, c’erano Maurizio Boldrini, coordinatore del laboratorio, e Pino Di Blasio, responsabile della redazione senese della Nazione.
Una matrice comune fatta di attenzione alle piccole storie, che il senese Rossi ha voluto portare con sé in questa sua nuova avventura editoriale, di cui ha parlato agli studenti dell’ateneo, ripercorrendo le sue scelte dagli esordi fino alla riorganizzazione del settimanale fondato nel 1955 da Arrigo Benedetti ed Eugenio Scalfari e oggi, dopo una serie di passaggi, addii, polemiche e ripartenze, proprietà di Bfc Media.
Per Rossi è stato un po’ un ritorno a casa, come ha ricordato lui stesso con un filo di emozione in apertura dell’incontro. "Io sono uno dell’Onda – ha detto – un figlio di operai". Gli inizi a Siena, poi il passaggio all’Unità di Firenze, quindi Milano Finanza. Poi un giorno Scalfari che lo chiama a Repubblica perché ha letto un suo pezzo. "Quel giorno – ha raccontato Rossi – Scalfari mi ha guardato e ha detto che in me vedeva il suo erede. Quando mi hanno chiamato per fare il direttore dell’Espresso mi è subito tornata in mente questa cosa".
L’arrivo a Roma in un momento di grande tensione per la testata, dopo la vendita, l’addio del precedente direttore, la redazione che lo accoglie in un clima non proprio disteso. Le scelte editoriali fatte, le rubriche chiuse e quelle inaugurate, sempre cercando di seguire una certa idea di giornalismo, che nel corso dell’incontro i tre relatori hanno cercato di trasmettere ai cronisti di domani. "Per me fare il giornalista non è una professione – ha detto Rossi – è più un mestiere, di quelli che si imparano in bottega. Per me è stato così".
"Ci sono cose che un giornalista non deve mai perdere – ha detto Boldrini – come il gusto della curiosità e della scoperta". "Fare il giornalista – ha detto Di Blasio – vuol dire raccontare storie. Si può diventare grandi giornalisti anche con le piccole storie, se sono cose che vale la pena raccontare".
Riccardo Bruni