di Laura Valdesi
SIENA
L’avventura a Siena della famiglia Macchi, Massimo e il figlio Filippo, era terminata con il fallimento, nel dicembre 2019, della Mens Basket 1871. Si erano presentati alla città mostrando interesse prima per la Robur, virando successivamente sulla pallacanestro che cercava di risorgere dalle ceneri della società dei trionfi. Era finita con un crac su cui avevano indagato le fiamme gialle. Da qui il processo a conclusione del quale il pm Silvia Benetti ha chiesto ieri la condanna dei Macchi a 5 anni e mezzo, più le pene accessorie, al termine di una requisitoria di 90 minuti. Il curatore fallimentare, rappresentato dall’avvocato Angela Giomarelli, ha tratteggiato una "società geneticamente insolvente" dove "l’attivo circolante non era mai sufficiente a coprire la gestione ordinaria". Ma con l’arrivo dei Macchi c’era stato un cambio di passo, la situazione, come detto in avvio anche dal pm Benetti, era peggiorata. Fino al dissesto. Il curatore ha chiesto un risarcimento di un milione e 200mila euro. Per i danni morali l’ha invocato in aula (senza svelare la cifra) anche l’altra parte civile, Banca Mps. Quindi la parola è passata all’avvocato Zingari che assiste Massimo e Filippo Macchi. Non c’è però stata la sentenza che arriverà il 14 novembre, dopo le repliche, sull’ennesima storia turbolenta che aveva scosso il mondo sportivo cittadino.
"Bancarotta fraudolenta, documentale, accesso abusivo al credito, c’è un episodio che riguarda la creazione di una pec finta", l’incipit del pubblico ministero. Che nella requisitoria declina comportamenti "fraudolenti e distrattivi". "Un’inchiesta complessa, – ammette – che prende le mosse da un esposto su cui scava la guardia di finanza iniziando a fare accertamenti e visure sulle società riconducibili ai Macchi". Poi l’istanza di fallimento da parte della procura, che arriva il 13 dicembre 2019. "Era chiaro sin dal primo esercizio che non c’erano i presupposti per la continuità aziendale", ribadisce il pm Benetti. Che ricostruisce e mette in fila, dando corpo alle accuse, il comportamento di Massimo Macchi – presidente del cda dal gennaio 2018 all’inizio di agosto 2019 e dopo tale data amministratore unico della ’1871’ – ma anche del figlio Filippo che avrebbe svolto quest’ultimo incarico dal luglio 2017. Parla di "ruolo importante " del giovane "che veniva affiancato da Francesco Bertoletti, ora residente in Svizzera, "uomo di fiducia". Lo definisce "un soggetto entrante, vantava capacità che non aveva". Picchia forte: "La situazione di difficoltà finanziaria diventa un precipizio". E saltano agli occhi "i falsi crediti, addirittura 881mila euro. Una voce rilevante". Confermate, a suo dire, le condotte distrattive, così come "l’aver aggravato un dissesto già in corso, fino al default".
Come si ricorderà, nel luglio 2021 era scattato il blitz della Finanza. Il gip parlava di "condotte predatorie ed aggressive". Venne applicata anche la misura cautelare personale interdittiva che vietava agli ex vertici della società sportiva dilettantistica, accusati di bancarotta fraudolenta, di esercitare imprese e uffici direttivi di persone giuridiche.