Cianchino, cavaliere coraggioso. Successi e fallimenti mai definitivi

Una foto una storia Salvatore Ladu, 66 anni da pochi giorni. Fantino per 15 Contrade, 8 trionfi in carriera

Cianchino, cavaliere coraggioso. Successi e fallimenti mai definitivi

Cianchino, cavaliere coraggioso. Successi e fallimenti mai definitivi

Nato a Bono, in terra di Sassari, il 3 febbraio del 1958: gli facciamo gli auguri con qualche giorno di ritardo, ma sempre buoni e sempre sinceri. Ecco Salvatore Ladu detto Cianchino, di quei grandi che hanno lasciato il segno in piazza. Augusto Mattioli lo coglie al volo nell’agosto del 1981 nell’Istrice con Bellino al termine di una prova. Fantino elegante, eppure concreto, con un portamento unico e uno stile irraggiungibile. Una bellezza vederlo sfilare in piazza. Ne sanno qualcosa i contradaioli delle quindici Contrade dove ha corso: gli mancano infatti solo Giraffa e Selva. Otto vittorie il suo bottino. Ha segnato un’epoca, ha mostrato quel cambiamento generazionale in un arco di tempo che va dal 1978 al 2005.

La sua vita è un romanzo con tanti lieto fine e qualche amarezza. Inevitabile per chi fa del rischio il proprio mestiere. Esaltato per i successi, anche criticato per certi atteggiamenti, inevitabilmente criticato quando non portava a casa niente di concreto. Non si è mai tirato indietro e, al contrario di altri protagonisti del suo tempo, non ha esitato ad indossare giubbetti pesanti, difficili, con cavalli non sempre al meglio. Ha vinto e convinto. Ha compreso sulla propria pelle che il successo non è mai definitivo, ma anche il fallimento non è altrettanto fatale. Quello che conta è il coraggio di andare avanti.

E’ passato con estrema disinvoltura, da professionista, da una rivale all’altra: chissà cosa avrà pensato in quei momenti. Ma sapeva benissimo che i pensieri si pagano soltanto con il coraggio. Una delle ultime volte che l’ho incontrato stavo realizzando con Riccardo Domenichini il documentario "Di che Contrada sei?". Eravamo all’alba da Andrea Mari. C’era una nebbia bassa che incatenava le gambe a uomini e cavalli in quelle meravigliose crete. La nebbia nascondeva il mattino. Scorgo una figura conosciuta fra quelli che seguono Andrea. Uno era lui. Montava quei sauri. Con il suo inconfondibile portamento, un marchio di fabbrica. Ho pensato subito alla sua tormentata carriera e al suo mezzo sorriso, come una lunga cicatrice causata dagli anni. Si può perdere ricchezza e fama, ma perdere il coraggio significa perdere tutto.

Tanti auguri quindi, grande Cianca: ci hai insegnato che proprio il coraggio non può essere contraffatto, sfugge sempre all’ipocrisia. Hai avuto la forza di scrivere la tua storia. Mi ricordi Rodari: "In cuore abbiamo tutti un cavaliere pieno di coraggio. Pronto a rimettersi sempre in viaggio".

Massimo Biliorsi