
Il professor Mario Messina
"Ne avrei per altri dieci anni. Ma il mio tempo è scaduto ed è giusto così, ho fatto quello che dovevo. Ora posso e devo dedicarmi alla famiglia". Dopo 51 anni a Siena, fra Università e ospedale, il 31 ottobre andrà in pensione il professor Mario Messina. Un maestro e punto di riferimento per l’ateneo e il policlinico: il professor Messina lascia gli incarichi di direttore del Dipartimento della donna e dei bambini e della Chirurgia pediatrica dell’AouS e della Scuola di specializzazione in Chirurgia pediatrica dell’Università; delle scuole di chirurgia pediatrica è anche coordinatore nazionale. "Mi sono iscritto a Medicina a Siena nel 1973 e nel 1980 la laurea – ripercorre il professore – ; poi la specializzazione in Chirurgia pediatrica a Catania e una seconda specializzazione in chirurgia dell’apparato digerente a Siena. Nel 1989 ho preso servizio all’Università come funzionario tecnico di secondo livello, ricercatore; negli anni ’90 sono diventato aiuto ospedaliero del professor Giovanni Tota, nel 2000 docente associato e direttore della Chirurgia pediatrica e nel 2006 ordinario".
Professore, sono passati 51 anni dall’ingresso all’Università e a Medicina.
"Ho sempre pensato di fare il chirurgo. Poi la scoperta della chirurgia pediatrica: perché qualsiasi intervento si fa su un bambino non è mai demolitivo, ma ricostruttivo. E con il professor Bagnoli dagli anni 2000 abbiamo messo in piedi quella Chirurgia neonatale che oggi è un vanto di questo ospedale: siamo stati fra i primi ad operare neonati in terapia intensiva".
C’era già ai tempi dell’antico Spedale.
"Andavo al Santa Maria della Scala da studente: il professor Tota, con cui ho iniziato, aveva dodici posti letto pediatrici all’interno di Chirurgia generale. Ricordo quelle stanze immense. Poi quando ci siamo trasferiti alle Scotte sembrava tutto eccezionale: un ospedale vero, con sale operatorie, reparti e bagni nelle stanze".
Ricorda qualche caso più degli altri?
"Venti anni fa trovammo un tumore, un neuroblastoma di 25 centimetri, in un bambino di 12 anni. Dovevo fare la biopsia, ma dopo averlo studiato, mi sono convinto che potevo operarlo: sono state 14 ore di intervento, con pericolo di morte sotto i ferri, invece abbiamo tolto il tumore intero e senza danni. L’anno scorso la mamma mi ha scritto dicendo che il figlio sta bene e si è sposato e che tutti gli anni a febbraio pensano a me, grati di avergli ridato la vita. Poi c’è stato un intervento ad un bambino di appena 40 giorni, con un tumore al rene che prendeva tutto l’addome, anche quello asportato".
Cosa è cambiato in 50 anni? "Malformazioni ci sono sempre state, è cambiato invece il modo di operare. Negli anni ’90 dovevi prendere una vena su un piccolo di 800 grammi, oggi ci sono device, tecnologie e tecniche completamente diverse e accessi venosi di quel tipo non occorrono più. Oggi esiste una chirurgia pediatrica a Siena di rilievo nazionale. E’ il mio vanto e il motivo per cui me ne vado serenamente: lascio un gruppo, una scuola di altissimo livello. Alle Scotte ogni caso è studiato e affrontato insieme da Pediatria, Pediatria neonatale, Terapia intensiva neonatale e Chirurgia pediatrica. La Chirurgia pediatrica c’è a Siena da 54 anni, dal 1970, grazie ai miei predecessori, il professor Tota e il suo maestro Lorenzini".
Cosa porterà con sé del suo lavoro?
"Tanti ricordi, nessun pentimento: non ho mai avuto orari, giorno e notte al lavoro. Mia figlia aspettava la sera di vedermi rientrare, ma finiva per crollare a letto e non ci si vedeva per giorni interi. Porterò con me anche l’esperienza in Kurdistan: per otto anni ho preso due settimane di ferie l’anno per andare ad operare bambini in quel Paese e in Kenya. Poi c’è la onlus La Conchiglia, amici della chirurgia pediatrica, nata nel 2011, che raccoglie fondi per progetti in aiuto all’attività clinica: abbiamo allestito ambienti a misura di bambino, abbiamo la playstation. Prendersi cura non è solo curare il bambino ma farlo sentire il più possibile in ospedale come a casa".
Paola Tomassoni