Corrado Ricci
Cronaca

Telefoniste 'umiliate' al call center

Il pm chiede il processo per le cape

Call center (Foto archivio)

Sarzana, 4 ottobre 2014 - BATTUTE e gesti goliardici da caserma? O vere e proprie vessazioni, con allusioni a sfondo sessuale assolutamente indigeste? In ogni caso, non di caserma, si trattava ma di call center. Quelle frasi, poi, si sviluppavano in una direzione: dall’alto verso il basso, dalle caposala alle telefoniste. Tutte donne. Le prime più o meno in carriera. Le seconde con l’ansia del domani, per via dei rapporti di lavoro precari. «Volevamo solo generare un clima di complicità e allegria per spezzare la monotonia del lavoro», dicono le prime.

«Venivamo umiliate, tenute sotto scacco...» dicono le nove operatrici che figurano parti lese nel procedimento per maltrattamenti, reato contestato alle «cape» di un call center con sedi a Sarzana e a Licciana Nardi. Loro sono quattro: L.V. di 42 anni, S.R. di 50 anni, M.R. di 51 anni, R.S. di 36 anni. Il pm Federica Mariucci ha chiesto il loro rinvio a giudizio, avallando i rapporti del comandante della Tenenza di Sarzana della Guardia di Finanza, il luogotenente Luigi Serreli, che ha sviluppato le indagini sul campo. Indagini su due fronti: su contratti di lavoro e prestazioni professionali e sull’«ambiente» di due call center, dove le cape miravano ad incentivare le vendite tefoniche delle operatrici, per questo o quell’oggetto o servizio, con gli affondi da codice penale. Ebbene, sul primo fronte la Finanza ha concluso le verifiche emettendo verbali capaci di innescare le azioni di rivalsa e sanzionatorie di Inps e Ispettorato del lavoro: oltre 300 le operatrici il cui inquadramento è risultato irregolare rispetto alla sostanza del lavoro sviluppato, soprattutto in termini di durata. C’è poi il procedimento penale, approdato nei giorni scorsi alla richiesta di rinvio a giudizio, dopo le memorie presentate dalle imputate.

«Numerose le testimonianze di smentita delle accuse e le attestazioni di solidarietà che abbiamo raccolto a favore delle nostre assistite» dicono gli avvocati difensori Daniele Caprara, Alessandro Rappelli, Marco Argenziano e Mirco Rivosecchi pronti a contestare in modo serrato tutti gli addebiti mossi alle loro assistite con l’assunto che la goliardia è stata scambiata per maltrattamento. Dovranno lavorare non poco per smontare il capo di imputazione là dove, genericamente, parla di «reiterate vessazioni, ingiurie, non gradite allusioni sessuali e in alcuni casi anche palpeggiamenti» che hanno «umiliato la dignità delle lavoratrici, così da rendere loro intollerabile la convivenza nell’ambiente di lavoro, per un lungo periodo: dal 2010 alla primavera del 2013. Ci sono poi le contestazioni puntuali ad ogni singola imputata. C’è chi è accusata di aver pronunciato epiteti pesanti e di aver trascinato una dipendente all’uscita, prendendola per un braccio; c’è chi deve rispondere di una sorta di rito propiziatorio per l’asserito scopo di incrementare gli ordini: il passaggio fra le postazioni di una statuetta di Priapo con la pretesa che tutte le operatrici la toccassero. E poi inviti espliciti ad essere prodighe nelle consumazioni sessuali per assumere più energia e disinvoltura nelle trattative telefoniche con la clientela.