ELENA SACCHELLI
Cronaca

Gli incontri di ApprofonditaMente "Portare arte e teatro nelle carceri Non è impossibile, si può fare"

Intervista al regista Enrico Casale che domenica 3 settembre presenta all’Impavidi “La meraviglia dentro..“

Gli incontri di ApprofonditaMente   "Portare arte e teatro nelle carceri  Non è impossibile, si può fare"

Gli incontri di ApprofonditaMente "Portare arte e teatro nelle carceri Non è impossibile, si può fare"

di Elena Sacchelli

Si può portare la meraviglia dentro le mura del carcere? Questo il grande interrogativo che sta alla base di "La meraviglia dentro: storie di arte e di bellezza dalle carceri italiane", l’incontro di ApprofonditaMente che domenica 3 settembre alle 9.45 si svolgera al teatro Impavidi. Un argomento che senz’altro divide, quasi borderline, ma che grazie al coraggio di Benedetta Marietti quest’anno sarà sviscerato da più punti di vista da personalità che il mondo degli istituti di pena lo conoscono davvero da vicino, all’interno della più antica rassegna culturale multidisciplinare d’Italia. Tra i relatori dell’evento, oltre alla giornalista Marianna Aprile, al direttore dell’istituto penale minorile Nisida Gianluca Guida e agli sceneggiatori Maurizio Careddu e Cristina Farina, c’è anche l’attore e regista spezzino Enrico Casale che da anni è impegnato a "far entrare un po’ di meraviglia" all’interno della casa circondariale della Spezia con il progetto teatrale Per Aspera ad Astra.

Una scelta coraggiosa. Non è affatto scontato che si parli di carcere e di detenuti in una rassegna così importante come il Festival della Mente. Indiscutibilmente però il tema negli ultimi anni è stato via via portato all’attenzione del grande pubblico grazie al fenomeno Mare Fuori. Quanto crede che la fiction di enorme successo abbia contribuito sulla scelta di far rientrare l’argomento, se vogliamo spinoso, nel Festival?

"Una scelta davvero coraggiosa per cui ringrazio ancora una volta la direttrice Benedetta Marietti – spiega Enrico Casale–. Innanzitutto voglio chiarire che la fiction, così come l’ottimo prodotto cinematografico con Antonio Albanese "Grazie Ragazzi" che affronta proprio questa precisa tematica, anche per evidenti esigenze narrative, non rispecchia esattamente la realtà. Vivendola tutti i giorni ho paura che ci sia un’eccessiva romanticizzazione delle dinamiche interne. Nel film i detenuti che proprio grazie a un progetto teatrale riescono ad uscire dalle strette mura del carcere e a debuttare a teatro in giro per l’Italia sono scortati da solo due agenti. Assicuro che nella realtà non è così. Tuttavia, come si suol dire, l’importante è che se ne parli. Quindi se questi prodotti eccezionali hanno contribuito ad accendere l’interesse del pubblico sull’argomento è solo un bene".

Nella sua esperienza nel carcere spezzino si è mai meravigliato? E ha mai visto dei detenuti meravigliarsi?

"Continuamente. Sia chiaro portare arte, teatro e quindi meraviglia all’interno di un carcere è come mangiare del pesce prelibato in un fast food. Gli istituti di pena sono luoghi che rifiutano la meraviglia e portare l’arte lì dentro può sembrare utopico. Ma le esperienze lunghe mi hanno insegnato che non è impossibile, si può fare. I detenuti approcciandosi a un testo o a un’opera che non conoscono si meravigliano, innanzitutto per la "nuova scoperta", ma anche e soprattutto perché interpretando un ruolo possono immedesimarsi in un personaggio e immaginare di essere per qualche ora qualcun altro, viaggiando con la mente e planando al di fuori del carcere per raggiungere un altro posto. Ho visto accadere cose tristi, ma anche cose belle. Come degli ex detenuti che una volta conclusa la pena hanno continuato a fare teatro a livello amatoriale o un ragazzo che, mentre stava finendo di scontare la sua pena in una comunità, la sera anziché guardare la televisione ha iniziato a "insegnare" teatro, coinvolgendo gli altri ragazzi".

Lei viene dal mondo del teatro e fa parte dell’associazione "Gli Scarti". Cosa lo ha spinto nel 2018 a voler collaborare con un istituto di pena con il progetto Per Aspera ad Astra?

"Io lavoro da 12 anni con dei non attori. Ho lavorato anche con grandi attori sia chiaro, ma mi sono accorto lavorando ad esempio con le scuole, con gli anziani e con i disabili che proprio i "non attori" potevano dare al pubblico una verità che è difficile portare in scena anche per i professionisti, perché chi non mastica il teatro ha una capacità di meravigliarsi straordinaria. Questo modo di lavorare anche con gli outsider è diventano il marchio di fabbrica degli Scarti. Nello specifico il carcere è arrivato su proposta di Fondazione Carispezia e quando mi è stato proposto sono stato entusiasta. Confesso di aver avuto all’inizio un po’ di timore, non certo dei detenuti, ma mi spaventava il come poter fare a lavorare in determinate condizioni. Teniamo conto che il contesto in cui lavoriamo non è un luogo silenzioso e pacifico, ma ci sono il rumore delle chiavi, le celle che si chiudono, le grida di guardie e detenuti. Non è una passeggiata, ma è un’esperienza che lascia dentro tantissimo".