
Jury Chechi (Ansa)
Prato, 24 luglio 2016 - Vola, Jury, vola. Le parole scandite nel cuore della notte su RaiUno (all’epoca non c’erano né streaming né satelliti nelle case normali) fecero vibrare tutta Prato, tutta Italia e forse qualcosa di più. Perché vent’anni fa, nella notte tra il 28 e il 29 luglio 1996, uno dei più grandi campioni del nostro sport, Jury Chechi, vinse una medaglia d’oro alle Olimpiadi che sapeva di epica. E ancora non era tutto. Il Signore degli anelli eseguì un esercizio perfetto. All’uscita anche chi sapeva poco di ginnastica capì che era fatta, dopo la terribile beffa di Barcellona ’92 con la rottura del tendine d’Achille alla vigilia dei Giochi spagnoli, dove sarebbe stato grande favorito.
Chechi, già vent’anni. Ci crede?
No, sono passati veloci. Ma questo vuol dire che sono stati anni belli, se quella medaglia è appunto un ricordo significa che la seconda parte della mia vita è passata serena.
Quale ricordo è rimasto?
E’ una bella storia sportiva, ma niente di eroico o di epico. Credo che sia rimasta nel cuore di molti perché in tanti si immedesimarono in quel ragazzo che, con forza e determinazione, riuscì a battere il destino che gli aveva distrutto il sogno della sua vita. Fu una storia di riscatto. Difficile trovare le parole per descrivere le emozioni di quel giorno, ma, oltre alla gioia, penso che la sensazione più immediata fu di sollievo: mi ero tolto il peso di una vittoria che per me era obbligata.
Lei subì un secondo infortunio molto grave, ancora la rottura di un tendine, che le fece perdere Sidney 2000, ma ad Atene 2004 conquistò il bronzo a 35 anni. E’ azzardato dire che quella medaglia valeva più dell’oro di Atlanta?
L’oro è oro, ma dal punto di vista umano e non sportivo... non c’è paragone. Se sono adesso una persona più forte e completa è merito di Atene. Fu una sfida vinta con coraggio, più difficile di quella che dovetti affrontare a Barcellona sia dal punto di vista clinico che psicologico. In Grecia fu l’uomo a vincere, prima dell’atleta.
In questi giorni il saltatore Tamberi ha subìto la sua stessa sorte: infortunio, niente Olimpiadi e addio a una medaglia quasi certa. Cosa gli vuole dire?
Che è difficile, inutile nasconderlo, però è importante accettare che quando si fa sport ad alto livello queste cose possono capitare. Già accettarlo è un buon inizio; poi gli consiglio di prendersi il suo tempo, guarire per bene, porsi obbiettivi di anno in anno e non tutti finalizzati alle Olimpiadi, che restano comunque il fine ultimo. Non ci sono formule magiche, solo la consapevolezza che si può fare.
A Rio, dove sarà presente come “ambasciatore” del Coni, troverà una bella pattuglia di pratesi: Tempesti, Pagnini, Tabani e Innocenti.
Per me è un onore e un piacere fare loro un in bocca al lupo; credo di aver dimostrato, negli anni, di essere molto legato alla mia città, io ci vivo e ci vivo bene. Sono certo che faranno bella figura.
Tutti loro hanno parlato della carenza di impianti di una città che tuttavia dà molto allo sport.
Concordo con loro, se pensiamo che lo sport sia un valore per migliorare le persone e lo stile di vita bisogna investirci. So che le risorse sono poche e so anche che il Comune su questo è sensibile. Forse bisognerebbe fare un po’ più di pressione, anche a livello dirigenziale.
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