
Un centinaio di ex dipendenti del negozio di piazza San Marco a cena insieme 50 anni dopo l’inaugurazione .
Bisogna fare una capriola all’indietro nel tempo, un salto di 50 anni in una Prato molto, molto diversa da quella di oggi, per capire come un fatto apparentemente banale (almeno al giorno d’oggi) come l’inaugurazione di un supermercato potesse avere invece un impatto sociale su tutta una comunità. Una Prato dove la zona di piazza San Marco, oggi di fatto parte integrante del centro anche se tecnicamente appena al di là delle mura, era una distesa di campi. Era il 1974: qualche palazzo di recente costruzione, molto signorile, affacciato sul Bisenzio. Poco altro. Non c’erano le Poste centrali, via Machiavelli era interrotta dove oggi invece c’è il sottopasso ferroviario, sui lati della piazza si poteva fare benzina al distributore. In quell’anno accaddero due cose: la statua di Henry Moore, la Forma squadrata con taglio, venne installata al centro della piazza diventando così uno dei simboli della città. Dall’altra parte della strada, tra via Arcivescovo Martini e viale Vittorio Veneto, aprì la Coop, anzi: "il Coppone" o "i’Coppe". Mezzo secolo è passato e giovedì sera un centinaio di ex dipendenti, tutti pensionati e tutti transitati negli anni in questo negozio, si sono ritrovati per cena all’Agriturismo Squilloni di Cafaggio, per festeggiare l’anniversario.
Era il primo, grande supermarket pratese e pareva enorme. Beh, grande lo era davvero: dal parcheggio sotterraneo, roba Milano, a tre piani di vendita, rigorosamente suddivisi tra il seminterrato per l’alimentare, l’abbigliamento e gli accessori al piano terra, i casalinghi e le telerie al primo piano. Anche solo salire sulle scale mobili per passare di piano era come andare alla fiera.
Un simbolo del consumismo che avanzava, un antipasto degli sfrenati anni Ottanta? All’epoca sembrava più che altro un regalo della modernità. La comodità finalmente alla portata di tutte le casalinghe, perché quello era un regno femminile. E certo che non c’erano i "salvatempo", per pagare si usavano i contanti, la spesa non si poteva prenotare e trovare pronta all’arrivo al negozio, eppure era il futuro diventato presente. E per certi versi più avanti di oggi: basti pensare che l’acqua minerale si acquistava in bottiglie di vetro, pagando 50 lire di cauzione, restituite alla riconsegna.
Un fatto commerciale, certo, ma anche sociale. I ricordi di chi lavorava al "Coppone" restituiscono una città diversa: "C’era una unione veramente importante, fraterna, fra le persone che vi lavoravano – raccontano – e l’empatia veniva trasmessa ai clienti che ricambiavano con la costante presenza a fare gli acquisti". Una di loro si ricorda della "grande gioia e soddisfazione nel raccontare le gesta del figlio da parte della mamma di Paolo Rossi, al ritorno dalla finale vinta in Spagna". Perché dei clienti "si sapeva tutto. Ci raccontavano la loro vita, come tutto si sapeva di noi colleghi, sempre presenti nella condivisione delle gioie di ognuno, ma anche dei dispiaceri e delle difficoltà".
Era una agorà così importante da diventare anche un centro di scambio culturale. A metà anni Ottanta Ambrogio Fogar, che a quel tempo era una star, ci volle perfino presentare il suo libro "Verso il polo nord con Armaduk". Insomma, può sembrare strano che un supermercato sia un ricordo così dolce per tanti pratesi. Eppure Francesco Nuti lo volle perfino immortalare in una scena di "Caruso Pascoski"...