Ventimila euro l’anno. Tanto ammonterà, secondo le prime stime, per una società sportiva dilettanti doversi adeguare alla nuova riforma del lavoro sportivo che dallo scorso 1° luglio prevede un differente inquadramento per chi svolge attività lavorativa nel mondo dello sport. Il primo nodo è quello della forma contrattuale: apertura di partita iva da parte del giocatore, ma anche del collaboratore che gira intorno alla manutenzione dell’impianto sportivo (immaginate il custode 70enne del campo sportivo costretto ad aprire partita iva per ottenere un rimborso spese di 500 euro al mese). Oppure, in alternativa, firmare un co.co.co, la collaborazione coordinata e continuativa le cui spese però ricadono sulle società sportive, facendo lievitare i costi in bilancio del personale.
L’altro tema è quello di tasse e contributi pensionistici. Perché la riforma prevede la totale esenzione fino a 5.000 euro, ma poi nel range fra 5.000 e 15.000 euro fa scattare i contributi Inps. Anche questi a carico delle società sportive. Sopra i 15.000 euro i lavoratori sportivi dovranno pagare anche la spettante aliquota Irpef. "Per le società dilettanti questa è una vera e propria bomba – spiega il vicepresidente della Zenith Prato, Enrico Cammelli –. Dall’oggi al domani ci ritroviamo con regole completamente cambiate che vanno ad appesantire i costi per le casse delle società. Quest’anno chiudere i bilanci sarà sicuramente un problema. Ci hanno considerati come se fossimo palestre, ma noi siamo ben altra cosa, sopravviviamo dando piccoli rimborsi spesa e certamente non possiamo sobbarcarci i contributi pensionistici di chi ruota intorno alla società. Così saremo costretti a scaricare sulle famiglie i maggiori costi, perché i conti in qualche modo devono tornare".
Il timore reale diffuso fra le società sportive è quello di vedere peggiorare la situazione attuale, facendo dilagare la richiesta di rimborsi a nero, evitando così il pagamento di tasse e fini pensionistici. Anche perché nel settore sportivo dilettanti solo una fetta inferiore al 10% vive davvero di sport, mentre tutti gli altri ne fanno una passione dalla quale riescono a ottenere un piccolo rimborso spese. Un mondo, quello visto finora, che dovrà essere rimpiazzato da una valanga di partite iva e co.co.co.
"Il concetto di regolarizzare chi vuole fare dello sport la propria professione è un’idea ottima e necessaria – sottolinea il presidente della Galcianese, Andrea Andreini -. Ma era necessario distinguere fra chi è un professionista dello sport e chi ne fa un hobby. Tutti gli allenatori che dedicano qualche ora a settimana al calcio, ad esempio, poco hanno a che fare con questa legge. Eppure tocca da vicino anche loro". Andreini prima di ogni giudizio attende un chiarimento normativo. "L’auspicio è che si distingua fra le varie figure – aggiunge -. Non si può chiedere di aprire partita iva a custodi e magazzinieri".
Chi invece si è già regolarizzato è il Centro Giovanile di Formazione Sportiva. Per venire incontro ai collaboratori, il Cgfs ha deciso di non costringerli ad aprire partita iva, ma di trasformare le collaborazioni in co.co.co. Una manovra che peserà per circa 70.000 euro sulle casse del Centro. "Andiamo nella direzione del rispetto della normativa – precisa Grifasi -, e soprattutto centriamo l’obiettivo di non penalizzare con costi aggiuntivi i nostri collaboratori". Una scelta che ha ottenuto il totale appoggio del Comune che l’ha giudicata "un intervento di equità contrattuale".
Stefano De Biase