SILVIA BINI
Cronaca

Scuola, il personale che non c’è. Un solo tecnico per sei plessi. E sul sostegno il 60% è precario

Il paradosso del Livi Brunelleschi: sulla carta risulta un unico liceo, ma ha due sedi e quattro succursali in due comuni diversi. Sono 1.445 gli alunni disabili: solo 465 i professori di ruolo .

Il paradosso del Livi Brunelleschi: sulla carta risulta un unico liceo, ma ha due sedi e quattro succursali in due comuni diversi. Sono 1.445 gli alunni disabili: solo 465 i professori di ruolo .

Il paradosso del Livi Brunelleschi: sulla carta risulta un unico liceo, ma ha due sedi e quattro succursali in due comuni diversi. Sono 1.445 gli alunni disabili: solo 465 i professori di ruolo .

Sulla carta è una scuola sola. Nella realtà, è un rompicapo quotidiano. Il liceo Livi-Brunelleschi rappresenta uno dei paradossi più evidenti della gestione scolastica italiana: un istituto unico solo per lo Stato, ma sdoppiato su due Comuni, diviso in sei plessi e tenuto in piedi da personale sottodimensionato, che corre ogni giorno per coprire l’impossibile.

Da una parte il liceo artistico Umberto Brunelleschi di Montemurlo, dall’altra il liceo scientifico e linguistico Carlo Livi di Prato. Due identità distinte, con specificità didattiche e logistiche, fuse sotto una sola dirigenza per ragioni di risparmio. Una fusione amministrativa che però, nella pratica, complica tutto.

"I problemi – spiega la dirigente Maria Grazia Ciambellotti – non sono ideologici, ma concreti. Ogni anno chiediamo due tecnici informatici, due amministrativi in più. Ogni anno ci rispondono che è una sola scuola. Ma nessuno considera che stiamo parlando di sei plessi distribuiti su due comuni, distanti quindici chilometri. Per fare un intervento a Montemurlo, il nostro unico tecnico deve lasciare Prato, mettersi in macchina e fare avanti e indietro. È un sistema che non regge più". Il liceo è un puzzle: due sedi centrali e quattro succursali, ognuna con porte da aprire, bagni da pulire, sistemi informatici da tenere in vita. "Che siano mille studenti o cinquanta – aggiunge Ciambellotti – la sorveglianza va fatta, le aule vanno aperte, i bagni puliti, i sistemi informatici devono funzionare. Non si può ragionare solo sui numeri. Le scuole sono fatte di spazi da gestire, e i plessi vanno mantenuti operativi". La questione più urgente riguarda proprio la figura dell’assistente informatico, ormai diventato il simbolo della precarietà gestionale: uno solo, per sei plessi.

"A Montemurlo – dice Ciambellotti – servirebbe una figura fissa. Ma anche al Livi. Il nostro tecnico è costretto a salti mortali per coprire entrambi. E ogni anno, a settembre, c’è da ricominciare da capo: arriva un amministrativo nuovo, che deve imparare tutto da zero, con il tecnico che si trasforma anche in formatore. Un uso inefficiente delle risorse, uno spreco evitabile: basterebbe un addetto informatico in più, di ruolo". E come se non bastasse, la copertura del personale non è mai continua. "Abbiamo avuto un amministrativo da settembre a giugno – racconta la dirigente – ma non è stato possibile coprire il periodo degli esami. Ogni anno ci ritroviamo con le stesse dinamiche: formazione a carico del personale interno, gestione a tappeto, e nessuna risposta dagli uffici competenti". Il paradosso è servito: due scuole, due città, centinaia di studenti e docenti, ma un’unica dotazione organica pensata come se tutto fosse sotto lo stesso tetto.

E mentre si fatica a tenere insieme plessi, laboratori e personale insufficiente, si apre un’altra falla: l’inclusione scolastica. A pochi mesi dall’inizio del nuovo anno, i numeri raccontano un’altra emergenza. Nella provincia di Prato sono iscritti 1.445 studenti con disabilità. I docenti di ruolo sono 439, più 26 di potenziamento. In totale 465 insegnanti stabili, a cui si aggiungono 632 cattedre in deroga, che verranno coperte da supplenti. Tradotto: circa il 60% dei posti sarà affidato a personale non di ruolo, senza continuità didattica. Tutto a discapito degli studenti che avrebbero diritto e necessità di contibnuità didattica. E dei lavoratori costretti alla precarietaà.

Silvia Bini