Scandalo rifiuti tessili: mille tonnellate abbandonate nei capannoni in disuso

In soli tre mesi il giro illecito ha fruttato ai criminali 250mila euro. GLi scarti partivano da Prato e venivano smaltiti abusivamente in Veneto. Le indagini dei carabinieri

L'intervento dei carabinieri

L'intervento dei carabinieri

Prato, 28 luglio 2021 -Sono 25 gli avvisi di conclusione indagine notificati a 19 soggetti e 6 aziende al termine della complessa attività investigativa dei carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico di Firenze, indagini dirette dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura di Firenze.

Al centro delle indagini l’abbandono degli scarti tessili pratesi all’interno di aree e capannoni in disuso, nelle province di Prato e Pistoia in Toscana, Verona, Padova, Vicenza e Rovigo in Veneto, fino ad arrivare a Salerno, in Campania. Varie le ipotesi di reato, che vanno dalla associazione per delinquere finalizzata al compimento di un traffico organizzato di rifiuti prodotti dall’industria manifatturiera di Prato, alla truffa e alla gestione illecita di rifiuti.

L'intervento dei carabinieri
L'intervento dei carabinieri

L’AVVIO DELL’INDAGINE

L'indagine era stata coordinata in prima battuta dalla Procura di Prato, poi è passata per competenza alla Dda di Firenze. Tutto partì da un controllo del nucleo operativo ecologico dei carabinieri in un’azienda pratese di gestione rifiuti; i militari dell’Arma, dopo aver appreso che proprio a seguito del controllo i proprietari stessero progettando l'incendio del capannone, pieno di rifiuti tessili, avevano sequestrato l’intero impianto e individuato numerose violazioni ambientali. La stessa azienda, tra l’altro, era già nota ai Carabinieri e alla Dda poiché oggetto di una precedente indagine culminata nel febbraio di quest’anno con otto avvisi di garanzia per reati analoghi nei confronti dei vecchi gestori dell’impianto e di consulenti ambientali.

La precedente compagine societaria, a seguito dei provvedimenti dell’autorità giudiziaria, aveva ceduto l’intera attività ad un altro gruppo; l’azienda, mantenendo lo stesso nome, era stata intestata ad una ragazza residente in Lombardia. A capo di tutto, però, vi erano il padre ed un altro socio occulto, entrambi residenti fuori dalla Toscana, che per condurre i loro traffico si sono avvalsi della complicità di altro imprenditore del Pistoiese.

IL MODUS OPERANDI

Gli accertamenti sviluppati dal Noe di Firenze hanno permesso di appurare come i nuovi imprenditori, privi di esperienza nel settore dei rifiuti nonché delle abilitazioni e dei permessi necessari (ma utilizzando le vecchie autorizzazioni ormai scadute) si fossero imposti nel mercato del ritiro dei rifiuti costituiti da ritagli tessili e della pelle (residui di fibre tessili lavorate oppure residui del confezionamento e finiture delle pelli) prodotti dalle manifatture pratesi, proponendo prezzi ultra-concorrenziali per il prelievo degli scarti, che venivano conferiti all’interno degli ormai noti “sacchi neri”. Una volta portati all’interno del fabbricato in via delle Case Nuove, a Sant'Ippolito, i rifiuti tessili venivano semplicemente accatastati in cumuli e su di essi non veniva compiuta alcuna delle operazioni di trattamento e recupero previste (cernita, separazione, sanificazione, compattazione, imballaggio) allo scopo di trasformarli in materia prima secondaria, da avviare poi a successivi cicli produttivi.

Avendo abbattuto i costi di gestione, in poche settimane gli indagati avevano consentito che l’intero capannone fosse stipato in tutti gli spazi, sino al soffitto e nel frattempo, con alcuni stratagemmi, avevano progressivamente cercato di liberare i magazzini da parte dei rifiuti per fare spazio e riceverne altri cospicui quantitativi, assicurandosi così altri profitti illeciti; in particolare in un primo momento hanno tentato di inviare i rifiuti a incenerimento attraverso spedizioni transfrontaliere (verso Polonia e Bulgaria), poi hanno architettato un espediente più proficuo: riempire alcuni capannoni vuoti e abbandonati in Veneto.

Per questo i gestori della ditta toscana si sono avvalsi della collaborazione di alcuni complici sul posto i quali, anche attraverso la creazione fittizia di un’altra società a cui destinare formalmente i carichi, hanno fornito l’apporto logistico per l’individuazione dei luoghi dove mandare i tir colmi di rifiuti; ricercavano in particolare capannoni ed aree in disuso nelle numerose zone industriali venete, prive di attività produttive nelle vicinanze. Gli scarti tessili, pertanto, mediante il cosiddetto meccanismo del “giro-bolla” venivano “trasformati” (solo documentalmente) in merce, non più tracciabile come rifiuto e quindi più agevole da movimentare.

Compiacenti anche le ditte di trasporto, ai cui autisti venivano di volta in volta impartite istruzioni sul luogo da raggiungere in Veneto, dove venivano agganciati da una staffetta di complici che poi li conducevano in fabbricati nelle vicinanze e dove avevano già provveduto a liberare gli ingressi; giunti sul posto i mezzi venivano scaricati in grande fretta direttamente sul pavimento. In pochissimi giorni il capannone prescelto veniva completamente riempito.

Tramite questo ingegnoso sistema, in poco meno di tre mesi (questo è il brevissimo lasso di tempo in cui ha potuto operare l’organizzazione, prima che l’intervento dei Carabinieri ponesse fine alle attività illecite), gli indagati hanno smaltito illegalmente circa mille tonnellate di rifiuti, assicurandosi un profitto illecito di almeno 250mila euro, al netto dei pagamenti in nero comunque percepiti.