ANNA BELTRAME
Cronaca

"Più di un giorno al pronto soccorso. Vi racconto il mio inferno"

La storia di Claudia: le dimissioni premature, il ritorno al Santo Stefano, poi Villa Fiorita. Per una diverticolite

Prato, 5 gennaio 2023 - Un girone dell’inferno. Più di un giorno in barella in corridoio al pronto soccorso, in mezzo a decine di persone, anziani sofferenti, ubriachi molesti, uomini e donne in attesa di un letto, di una diagnosi, di rivedere il cielo e uscire di lì. Un attesa senza fine e senza senso, telefonini senza copertura di rete, nemmeno il conforto di una voce cara, nemmeno una coperta per ripararsi dal freddo.

Più di 24 ore così, e poi l’odissea che continua, con le dimissioni premature, il ritorno in quella bolgia, il ricovero e il trasferimento a Villa Fiorita, e poi ancora il pronto soccorso e di nuovo la casa di cura. E’ questa la storia di Claudia C., pratese di 57 anni dipendente di una ditta tessile. L’incubo è iniziato la mattina di Santo Stefano con dolori lancinanti alla pancia e il viaggio al pronto soccorso.

"Sono ancora ricoverata a Villa Fiorita, ma dopo quello che ho passato mi sembra di stare in un hotel a quattro stelle", dice. "E’ il primo giorno in cui sto meglio e devo raccontare cosa mi è successo, perché una città che si ritiene civile non può più tollerare una situazione del genere. Quante persone abbandonate a loro stesse per mancanza di spazio e di personale. Non possono fare miracoli, medici e infermieri. L’ospedale è piccolo e bisogna gridarlo forte. Il pronto soccorso è un luogo infernale", dice. Eccola la sua storia.

Una diverticolite acuta, questo era il problema di Claudia, ma troppo tempo è stato necessario per la diagnosi e la situazione è inevitabilmente peggiorata. "La mattina del 26 stavo male davvero – ricorda –, dolori fortissimi alla pancia. Ho fatto un tampone, negativo, e mi sono fatta accompagnare al pronto soccorso. Mi hanno messa su una barella, in corridoio, e lì mi hanno lasciata fino alla tarda mattinata del 27.

I primi accertamenti li hanno conclusi abbastanza velocemente, ma poi si sono dimenticati di me, senza dirmi mai nulla. In quello stanzone c’erano decine e decine di persone, impossibile prendersi cura di tutti come sarebbe stato necessario". Un giorno può essere un tempo interminabile se si sta male e non si sa perché, se si è soli, se intorno succede di tutto. "La notte specialmente è stata terribile – racconta Claudia –. Arrivavano ubriachi fuori di testa, c’era chi urlava, chi vomitava, un cinese non faceva altro che sputare in terra, un trans insultava le infermiere, un altro balordo picchiava sui vetri. Avevo paura, stavo male, avevo freddo. Ho chiesto una coperta, non c’era. Ho chiesto di poter bere qualcosa, mi hanno portato un té il giorno dopo. Il pronto soccorso era pieno zeppo di gente. Dormire non c’era verso. Piangevo, non ero l’unica.

I telefoni muti, nemmeno una telefonata alla famiglia. Soli. Nessuno che ci guardasse, che ci dicesse qualcosa. Correvano, gli infermieri, avevano troppe cose fare. Anche i tamponi fra l’altro. Tre solo a me. Il primo era positivo, anche se quello fatto da me a casa non lo era. Così mi hanno spostata con i pazienti covid. Il molecolare che mi hanno fatto dopo era però negativo, e mi hanno sistemata di nuovo con chi non aveva il covid. Io però non sapevo che cosa avevo. Una brutta forma di influenza mi hanno detto prima di mandarmi a casa, il 27 dicembre.

I dolori però non erano finiti, anzi erano sempre più forti. Claudia chiama il suo medico che le consiglia di tornare al pronto soccorso e di farsi fare una tac. E’ la sera del 27 dicembre e l’esame evidenzia una diverticolite acuta. "Lo sapevo che non poteva essere solo un’influenza, ma non volevano credermi quei giovani dottorini che mi hanno visitata", racconta. Le trovano un letto provvisorio con l’idea di trasferirla a Villa Fiorita il giorno dopo.

E’ molto debole, non può mangiare, ha bisogno di flebo di soluzione fisiologica, oltre che di antibiotici. "Ne faccio in media otto al giorno, ancora", dice. "Nella casa di cura mi sembra di stare in albergo dopo quello che ho passato al Santo Stefano – aggiunge –, medici e infermieri sono davvero carini. Lunedì si è però resentato un problema al cuore e mi hanno portato di nuovo al pronto soccorso in ambulanza. 

Una tac alle coronarie alle 23, ma fino alle 7 del giorno dopo non ho più visto nessuno. Niente di grave, per fortuna. L’ipotesi è che lo scompenso cardiaco sia un effetto della terapia che a un certo punto ho dovuto prendere per bocca, perché le vene non reggevano più le flebo, oltre che del profondo stato di debolezza. Mi hanno rimandato qui a Villa Fiorita, dove se tutto va bene resterò fino a sabato". Dal 26 dicembre saranno passate quasi due settimane. "Ho deciso di raccontare la mia storia perché in una città civile tutto questo non dovrebbe succedere – conclude Claudia –. Perché al Santo Stefano non c’erano le condizioni per prendersi cura delle persone, perché nemmeno la loro dignità poteva essere tutelata. E lo dobbiamo dire, non stancarci di farlo, finché avremo voce, finché le cose non miglioreranno".