
Trovati droga e cellulari alla Dogaia. La procura: gestione fuori controllo. .
L’episodio più eclatante avvenne a novembre quando all’interno del carcere di Prato furono lanciati alcuni palloni da calcio: dentro c’erano dieci smartphone destinati ai detenuti. Ma da quasi un anno, per la precisione dal luglio 2024 la Dogaia, l’istituto penitenziario pratese è al centro di un’inchiesta della procura guidata da Luca Tescaroli che, ieri, ha ‘ribaltato’ il carcere con una maxi operazione con uomini del nucleo investigativo regionale di polizia penitenziaria, squadra mobile di Prato, carabinieri di Prato e guardia di finanza. All’interno del carcere hanno operato 263 agenti, fuori altri sessanta per fronteggiare il rischio di eventuali rivolte.
Il quadro che è emerge è quello di un carcere dalle ‘mura di vetro’, dove mondo di fuori e mondo di dentro si guardano in faccia senza troppi problemi. E si parlano, eccome: in un anno sono stati sequestrati 34 telefonini e 2 sim. Più microtelefoni e addirittura un router per connettersi alla rete. Un carcere pieno di crepe, dove l’illegalità è fiorita anche tra chi doveva controllare. L’inchiesta ha scoperchiato un vaso di Pandora fatto di corruzione, favoritismi e violazioni sistematiche. I numeri parlano da soli: 127 detenuti perquisiti, 27 indagati (14 in Alta sicurezza, 13 in Media). Tra le celle, un arsenale tecnologico degno di un ufficio hi-tech: smartphone, microtelefoni, smartwatch, router Wi-Fi, Sim intestate a prestanome. Il tutto nascosto nei modi più ingegnosi: nei sanitari smontati, nelle pentole, tra i doppi fondi delle cartelline, persino nella cavità anale.
Fatto gravissimo, i detenuti ristretti nell’Alta sicurezza, tra cui ci sono anche capi clan mafiosi, sono "risultati beneficiari di particolari privilegi, fra i quali la libertà di movimento nel reparto e la non vigilanza all’interno del carcere". E, soprattutto, sono risultati in possesso di schede telefoniche con intestatari fittizi, attivate presso negozi di telefonia di Roma e Napoli. Oltre che smartphone collegati alla rete telefonica e al web. E poi la droga, soprattutto cocaina e hashish, fatta entrare tramite visite familiari, pacchi non controllati o – fatto ancora più grave – con la complicità di agenti corrotti. A portare la droga in carcere anche i ‘permessanti’, i detenuti autorizzati a uscire dal carcere.
Quattro agenti della penitenziaria sono infatti indagati per corruzione, accusati di aver agevolato l’ingresso di telefoni e stupefacenti in cambio di denaro, qualche migliaio di euro. Le forme corruttive hanno coinvolto altri 4 agenti e anche una donna addetta alla pulizie.
Ma un secondo fronte ha scosso La Dogaia: tre agenti della polizia penitenziaria sono indagati per lesioni colpose e rifiuto di atti d’ufficio in seguito all’aggressione, avvenuta il 6 giugno, di Vasile Frumuzache, il rumeno reo confesso del brutale omicidio di due escort sue connazionali: Maria Denisa Paun, uccisa in un residence a Prato e poi decapitata e abbandonata in un campo a Montecatini, e Ana Maria Andrei, uccisa nell’agosto 2024 e i cui resti sono stati trovati poco distanti da quelli di Denisa. Frumuzache è stato sfregiato con olio bollente e zucchero da un altro detenuto (è emerso poi che in passato aveva avuto una relazione con la Andrei), poche ore dopo il suo ingresso in carcere. Nonostante le indicazioni precise della Procura, la protezione di Frumuzache non è mai realmente esistita.
La procura sottolinea che la "struttura carceraria pratese è caratterizzata da un massiccio tasso di illegalità e dalla estrema difficoltà di assicurare la sicurezza passiva dei detenuti". Ricorda, Tescaroli, criticità croniche ("per il ruolo degli ispettori e dei sovrintendenti la scopertura di organico è del 47% e del 56,5%). Tra le altre criticità segnalate i laser scanner dei pacchi e della corrispondenza diretta ai detenuti non funzionanti. Nel frattempo l’inchiesta si allarga: perquisizioni sono scattate anche fuori dalla Toscana: tra Napoli, Arezzo, Roma, Firenze e Pistoia, alla ricerca di prove e connessioni nella ‘filiera’ che permetteva l’approvvigionamento illecito di sim e telefoni.