Prato, Firenze e Pistoia: storia di campanili Quando l’estero cominciava già a Peretola

Il furto della cintola, la subalternità imposta dai fiorentini: tra le tre realtà non fu mai amore. E si tifava Juve solo per dispetto al capoluogo

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Prato, Firenze e Pistoia protagoniste di questa nuova puntata della nostra rubrica ’Come eravamo’. Un viaggio nel tempo, quando le tre province si guardavano all’insegna del fidarsi è bene e non fidarsi è meglio. Nelle puntate precedenti: Edoardo Nesi, il Lungobisenzio, Filettole,la goliardia, le botteghe del centro, il ristorante Baghino, Silvio Pugi, Roberto Giovannini, la redazione pratese de La Nazione, Pietro Fiordelli, il tessile, Giorgio Vestri, il teatro Metastasio, Lohengrin Landini, il Politeama.

di Roberto Baldi

Prato Firenze e Pistoia non fu mai storia d’amorosi sensi. Hanno sempre privilegiato il ‘fidati gliera un bonomo, ma non fidarsi è meglio’ fin da quando i pistoiesi rubarono la sacra cintola ai pratesi e i fiorentini c’imposero una subalternità sofferta. Il meglio era da strozzare con le budella del peggio. Se ne accorse anche Wolfgan Goethe bonanima che nel suo viaggio nella Toscana dell’800 scriveva: "Qui sono tutti l’uno contro l’altro. Animati da un singolare spirito di campanile, non possono soffrirsi a vicenda". Lo seguiva a distanza Malaparte, che se non fosse nato a Prato non avrebbe voluto venire al mondo e dei fiorentini diceva che parlano a bocca larga e mele strinte. L’estero, per Curzio, cominciava a Peretola. Da qui i simpatici sfottò con il perdio aggressivo per gli altri e per noi forma talvolta anche affettuosa, pronti a ritrovarci nei fine settimana nel capoluogo che senza Prato è una puttana senza clienti: a Firenze si va a spendere e spandere.

Diversi in tante cose, a cominciare dalla cultura, che a Prato non è mai stata elitaria, ma cucita in alternativa alla fodera del lavoro. "Se un tu sei bono a studiare t’andrai in fabbrica", si diceva per far capire che bisognava comunque arrangiarsi, perché poeri e bischeri un s’ha da essere. I primi vagiti culturali del resto a Prato sono nati proprio nel luogo di lavoro: Edoardo Nesi componeva in fabbrica i primi scritti con lo zio Alvaro che lo guardava di traverso. E anche Gigi Paoli, il Faletti di noialtri, completa ancor oggi splendidi gialli nei ritagli del tempo libero al giornale.

Ad accrescere le incomprensioni anche la provincia, la più sofferta e ambita di tutta Italia, che Firenze e Pistoia cercarono di frenare con gli anticoncezionali della politica, facendo incazzare ancor più i pratesi, che hanno il cielo negli occhi e l’inferno in bocca se gli vai di traverso, con Rolando Caciolli fra i promotori che per 40 anni non mise più piede a Firenze, Alighiero Ceri e Amerigo Giuseppucci a dargli manforte.

Mentre ai fiorentini bastava aprire una finestra per riempirsi di smisurata bellezza, i pratesi si juventinizzavano per far dispetto a Firenze : "un solo grido un solo allarme Firenze in fiamme" cantarono. Di somigliante fra il capoluogo, Prato e Pistoia restò l’abitudine a mangiare le consonanti e la ribollita, oltre all’amore per la propria città: "Sapessi i lucciconi e quanta tosse a chi distante dalla patria gliè" cantava Spadaro. "Sapessi i lucciconi e quanta tosse se Prato la un ci fosse" riecheggiava Betti.

I pistoiesi a sostenere che a Prato quattrini e ignoranza fanno a rincorrersi e non si sa chi arriva prima, commiserando i pratesi noti dissipatori con la fuoriserie sotto il culo e la moglie con più gioielli della Madonna di Fatima, a confronto dei cugini pistoiesi che tirano i coriandoli con l’elastico per riaverli indietro e danno l’esame tre volte per conseguire la patente. Oggi solo in apparenza pratesi fiorentini e pistoiesi sono rimasti fratelli coltelli. Veronesi e Nesi hanno annacquato di molto lo sciovinismo malapartiano e fanno incetta di premi Strega proprio nella città della zecca onnipotente. Se c’è da dare una mano, Prato non si tira mai indietro come dimostrò l’alluvione e come sintetizza in vernacolo l’incommensurabile dottor Gigi Sguanci, fiorentino ‘immigrato’ fra i lanieri, funzionario dell’Unione industriali e che nell’esilarante Made in Prato compendia: "Passati gli anni e pe’ mangia davveroora sto a Prato e quarche vorta pensoche per te Firenze gli ero a i’ccimitero". Resta il campanile a salvaguardia di usanze, ma in questa piana alle pendici della Calvana, di là dai tetti dove si stagliano la curva affettuosa della Retaia, il ginocchio nudo dello Spazzavento, le tre gobbe verdi del Monte Ferrato e le mille luci sulla collina di sera, c’è posto anche per le brezze leggere di Firenze e Pistoia con obiettivi congiunti. Come quello del nuovo aeroporto di Peretola che secondo Giani, con la pista obliqua anziché parallela all’autostrada, dovrebbe preservare pratesi e pistoiesi e chi ci crede ci crede. Siamo progenie tutti di una terra privilegiata nella natura, nell’industria e nell’intelletto; sappiamo vivere come pochi, mentre la maggior parte della gente esiste e nulla più. Siamo i più meglio, come si dice con un superlativo grammaticalmente eretico. Smettiamola di sputtanarci, perdinci.