REDAZIONE PRATO

Permessi facili: in 209 rischiano il processo "Si approfittavano dell’Ufficio immigrazione"

Indagini chiuse per 192 cinesi e 17 italiani. Il pm: "Sapevano delle difficoltà della Questura nel verificare sul campo i documenti"

Permessi facili, ditte inesistenti, bilanci farlocchi per far apparire situazioni economiche inesistenti, una rete di prestanome per nascondere i veri titolari delle aziende. Una rete di studi professionali che si sarebbero adoperati per far avere a cittadini di origine orientale il rinnovo del permesso di soggiorno pur non avendone i titoli oppure di far sparire agli occhi del fisco ditte intere. Adesso in 209 rischiano il processo. La Procura (il fascicolo era affidato ai pm Lorenzo Boscagli e Lorenzo Gestri, quest’ultimo nel frattempo trasferito a Firenze) ha chiuso le indagini della maxi operazione chiamata "Easy permit" che ha portato nell’ottobre scorso all’arresto di sette persone, quattro delle quali già a processo perché colpiti da misura: i coniugi Alessandro Frati e Alessandra Belliti dell’omonimo studio di consulenza del lavoro, l’imprenditore Wu Chao dello studio Rw, il consulente fiscale Giuseppe Cannatà. L’altro studio finito nella bufera è il "Principia" di Marco Principia e Raffaella Corrieri, difesi da Federico Febbo e Costanza Malrba, per i quali il gip aveva rigettato la richiesta di misura cautelare.

La Procura stringe ora il cerchio su tutti gli altri indagati: 192 cinesi e 17 italiani, ai quali è stato recapito l’avviso di conclusioni indagini. Si preannuncia un processo difficile – qualora tutti gli indagati venissero rinviati a giudizio – che, come spesso accade al tribunale di Prato, potrebbe ingolfarsi già all’appello dell’udienza preliminare. Non sarebbe il primo processo del genere in città, con un numero così elevato di imputati. Ce ne sono diversi ancora in corso da anni (i Money transfert tanto per citarne uno) che difficilmente arriveranno a conclusione. Intanto la Procura ha fatto il primo passo chiudendo le indagini che la Guardia di finanza ha seguito per diversi anni. Gli accertamenti hanno permesso di portare alla luce un oleato sistema di connivenze fra studi professionali italiani e cinesi e cittadini di origine orientale che, per svariati motivi, si rivolgevano ai consulenti del lavoro per ottenere permessi di soggiorno pur non avendone i titoli. "Inducevano in errore l’Ufficio Immigrazione della Questura di Prato, al fine di conseguire il rinnovo del permesso di soggiorno – si legge nell’avviso di chiusura indagini – consapevoli che l’ufficio a fronte delle domande di rinnovo di permesso di soggiorno, non predisponeva controlli diretti a riscontrare l’esistenza della situazioni dichiarate dalla parte interessata all’ottenimento del provvedimento di rinnovo, limitandosi a una verifica formale dei requisiti prescritti per legge". Insomma, le domande che arrivavano (e che arrivano tutt’ora) all’Ufficio immigrazione erano talmente tante che i pochi addetti non avrebbero mai potuto controllare sul campo se le situazioni rappresentate nei documenti erano vere. Gli addetti si fidavano delle carte preparate dai professionisti e così decine e decine di orientali hanno ottenuto il rinnovo del permesso in maniera illegale. I professionisti sapevano delle difficoltà dell’Ufficio immigrazione e se ne sono approfittati.

Gli studi non si erano limitati a fabbricare i documenti per i permessi di soggiorno ma avevano seguito anche diverse aziende con il solito sistema della ditte "apri e chiudi" (un modello che ritorno sempre nelle inchieste della Procura) e del ricorso a prestanome per far sparire i reali titolari delle aziende. Gli indagati hanno venti giorni di tempo per chiedere di essere interrogati dal magistrato oppure per presentare memorie difensive. Poi la Procura procederà con le richieste di rinvio a giudizio.

Laura Natoli