Ha messo a raggi x il territorio, il geologo Marco Morelli con i colleghi dell’Istituto Geofisico Toscano (ramo della Fondazione ParSeC, partecipata del Comune di Prato). Diversi i sopralluoghi dalla piana alla Vallata nei giorni dell’alluvione, e anche nei mesi successivi. "Il 2 novembre 2023 alcune stazioni meteo hanno registrato che dalle 18 alle 22, quindi in pochissime ore, fino a 200 millimetri d’acqua (duecento litri ogni metro quadrato). Cosa che si è quasi ripetuta l’8 settembre: si è sfiorato un nuovo disastro. Bastava fosse piovuto un’ora di più".
Come sta il territorio ora?
"Il 2 novembre ha rotto equilibri per ripristinarsi i quali passeranno anni. Quanto successo, non avrebbe avuto questi effetti se non ci fosse stata un’urbanizzazione capillare sul territorio. Quasi ogni dissesto, frana, rotta o tracimazione in qualche modo ha coinvolto strutture umane. Perché? Perché non c’è più spazio".
Cosa possiamo fare?
"Serve un cambio di paradigma. I calcoli per dimensionare le corrette sezioni idrauliche dei corsi d’acqua, dei ponti o delle fognature sono stati fatti sulla stima dei cosiddetti ’tempi di ritorno’: ossia, ogni quanto può capitare in media un evento estremo. Di solito le piene eccezionali si consideravano duecentennali. Il problema è che non si è tenuto conto abbastanza della geologia del territorio e che da 20 anni a questa parte, abbiamo visto un cambiamento incredibile nella distribuzione delle piogge in un anno".
Bardena, Bagnolo e Stregale non hanno retto. Sono fiumiciattoli che convivono con gli abitati...
"Hanno alvei piccoli e non hanno assorbito l’ondata di piena. I tratti tombati poi, coperti da strade e abitazioni, favoriscono questi disastri".
Ma non si possono spostare case e strade...
"La domanda da farsi è: bisogna continuare a intervenire mettendoci delle pezze, o, dove possibile, investire tanti milioni e risolvere i problemi nel medio e lungo periodo?"
Facciamo un esempio: come intervenire?
"Prendiamo il Vella e lo Stregale su Prato e Montemurlo: sono in parte tombati e con l’urbanizzazione hanno assunto a tratti andamenti assurdi. Per tentare interventi risolutivi è necessario riportarli in superficie, dove è possibile, o in zone che consentano di allargarne la sezione idraulica. In certe zone nella piana, ad esempio a Tobbiana o Casale, si investono tanti soldi per proteggere una o due abitazioni. Un’analisi costi/benefici suggerisce che sarebbero necessarie scelte dolorose ma di buon senso. Costerebbe meno alla fine, e sarebbe più sicuro per chi ci abita, ricostruire le case altrove".
Non sarebbero sufficienti casse di espansione?
"Pensando all’acqua che in pochi minuti ha travolto Figline, Galcetello e l’ospedale, qualsiasi cassa d’espansione avrebbe prodotto benefici, ma non avrebbe evitato del tutto il disastro".
Insomma, ci sta dicendo che occorre ‘cambiare filosofia’...
"Servono più tipi di cambiamento. Intanto, vanno modificate alcune norme che regolamentano tutte queste situazioni, permettendo, nel rispetto dei vincoli paesaggistici, di arrivare quanto prima alla messa in sicurezza del territorio. Un esempio: i corsi d’acqua si sono riempiti di detriti e quelli che si dovrebbero togliere andrebbero in buona parte trattati come rifiuti speciali. Tutto questo fa sì che Bagnolo o Bardena abbiano in certi tratti l’alveo più alto di 1 metro. In entrambi i torrenti, ci sono rocce che arrivano dal Monteferrato e che talvolta hanno alti contenuti di amianto naturale. E allora si lasciano dove sono perché la normativa ne rende difficile lo stoccaggio. Invece si potrebbero conferire nelle vecchie cave del Monteferrato dove vi sono già rocce del tutto identiche".
L’altro cambiamento?
"Bisogna cominciare a fare i conti su bilanci pluriennali, guardando lontano: conviene più intervenire con numerose soluzioni tampone o, dove è possibile, pensare a maxi investimenti per poi non intervenire più? Penso ai corsi d’acqua tombati: dove si può stombare il corso o deviarlo, va fatto. Ma per fare opere di questo tipo deve intervenire lo Stato a livello di risorse".
Parlava di tre cambiamenti...
"Sì, serve anche un cambiamento nell’educazione delle persone: impensabile che con migliaia di chilometri di strade il Comune possa arrivare sempre e ovunque. Devono collaborare anche le persone. I nostri nonni pulivano le strade, e toglievano le foglie dai tombini...".
Maristella Carbonin