Edoardo Nesi e il racconto della Prato che è stata, l’epica del Lungobisenzio, l’incanto di Filettole, la goliardia e poi le botteghe, infine un tuffo nei sapori e nella storia di Baghino: sono le puntate precedenti di un viaggio amarcord nella storia, nella bellezza e nei personaggi della nostra città. Un viaggio che oggi prosegue con il ritratto di Silvio Pugi, accompagnato come sempre dalle bellissime foto in bianco e nero di Ranfagni. In un caleidoscopio della vecchia Prato.
di Roberto Baldi
Dici Silvio Pugi e dici l’icona di una Prato un po’ scombiecchierata, con lui che s’improvvisava onorevole in un amalgama temerario fra tessile e politica. "Ho incontrato il compagno Togliatti e mi ha detto: state uniti non disuniti, ma le pezze dal purgapanni venivano tutte disunite". Il momento di glorificazione in piazza Duomo quando i fans invocavano "discorso". E lui raggiante su un pulpito improvvisato del sagrato, sotto lo sguardo benevolo dei cherubini del Donatello, con un socialismo ruspante: "Se lorartri fossero come norartri si sarebbe tutti uguali". E se lo chiamavi Silvio dovevi aggiungere "intelligenza di persona".
Riciclatore ante litteram, raccoglieva carta e cartone, venendo a prenderli anche nella nostra redazione in via Garibaldi, andando a venderli per sbarcare il lunario, veicolando a mano o con barroccino ("manostrasportatore" si appellava lui con un neologismo alla sua maniera) da una ditta all’altra anche la lana di cui dicevano si fosse in parte furtivamente appropriato. "Pugi riportagli la lana" gli urlavamo per farlo andare fuori dei gangheri. E lui di rimando la rima che attribuiva alla nostra mamma il mestiere più antico del mondo. Dopo di lui Giuliano e Franco, i suoi figli con lo stesso ’mestiere’ (si fa per dire); don Rodrigo che declamava la cena delle beffe dicendo che non voleva compensi e allungava la mano per averli; Sabatino di Jolo detto Liccio, disoccupato a tempo pieno; Adone, la Pisciona, L’Untore "e vo via son libero" protagonisti tutti di una Prato in cui la pratica valeva più della grammatica. Era il tempo delle foto in bianco e nero che si scattavano con un flash mozzafiato e si veniva con gli occhi sbarrati come una lepre allumata; il cigolare dei barrocci ricolmi di pezze; di primo mattino le ciambelle del venditore "ce l’ho con l’olio" e il tessitore del turno di notte alla finestra in canottiera: "e io ce l’ho con tu’ madre che t’ha svegliao a quest’ora". I nostri riti: il bagno in Bisenzio, il cibbè, la libertà di mingere all’aperto, la partita di calcio vista dallo scalo merci per non pagare il biglietto; per gli over 18 l’amore a pagamento al Cristallo o dalla Gina che il dizionario nazionale chiamava case di tolleranza quasi fossero sede di sopportazione, mentre a Prato le abbiamo sempre considerate allunaggio morbido al pianeta sesso in un quarto d’ora di finto incantesimo senza sussidi psicoanalitici, inguaribilmente convinti che l’astinenza è una buona cosa, purchè la si pratichi con moderazione. Baudelaire, che definiva il sesso "il lirismo dei popoli", il nostro autore preferito. Era la Prato che si inebriava con poco senza pretendere di afferrare le stelle: le porte delle case con la chiave infilata nella toppa; per riscaldamento il bracere e per scaldasonno il trabiccolo con il veggio; per gabinetto la buca all’aperto. E giocavamo al pallone con una palla di stracci e a banditi con un fucile di legno; la lingua fra i due poli della pila per sentire se era carica; in due sul motorino e quello dietro metteva la freccia con il braccio; aprivamo la Simmenthal con la chiavetta; il cinema all’aperto con l’aranciata Roveta bottiglietta sbombata nell’intervallo, i botti con un pietrone sulla miscela di polvere potassio e zolfo, il maggio cantato alla sera del 30 aprile, la Lazzi per Viareggio si partiva alle 7 si arrivava alle 11 per i caselli lungo il percorso, il grattamariano d’estate, le domeniche il vestito buono che faceva l’effetto della cravatta al maiale perché stare in ghingheri non ci si addiceva. Ci piacevamo cantando "belli come noila mamma non ne fa piùs’è rotta la macchinettanon s’accomoda più". Sempre in compagnia perché soli non si sta bene nemmeno in paradiso. E con un occhio di riguardo per il bisogno con l’assessore al sociale Anna Fondi che sapeva anche quante camicie cambiava l’indigente e il medico di famiglia che attivava un servizio spontaneo di assistenza anche alla domenica senza il contributo di mamma Asl e di guardie mediche con i dottori Tatti, Ciatti, Dei e altri fra loro intercambiabili. Ora tutti di corsa, ognun per sé e Dio per tutti. Il progresso ha aumentato i furti, le inferriate alle finestre, allarmi vari. Lasciateci rimpiangere i tempi in cui ci si addormentava felici senza ninna nanna e in cui Silvio Pugi deteneva il primato fra gli imbonitori del nulla, grande rispetto anche per il lavoro. Quello degli altri.