REDAZIONE PRATO

"Nell’affare mascherine vince solo chi le importa"

Altri imprenditori si uniscono al coro dei delusi dalle riconversioni aziendali. "In Italia il costo di produzione supera quello di vendita. Così si perde in partenza".

"Se non cambiano le regole siamo tagliati fuori prima di partire". Il riferimento è ai bandi della pubblica amministrazione. Gli importatori di mascherine possono far forza su un prezzo di vendita bloccato a 11 centesimi, ma le aziende che producono in Italia tra tasse, stipendi, certificazioni e sicurezze nella migliore delle ipotesi riescono a produrre a 12 centesimi. Se il costo di produzione supera quello di vendita si capisce bene che non può esserci partita per le aziende italiane che partecipano a bandi con la pubblica amministrazione. Il gap è lampante e l’amarezza aumenta ogni giorno, bando dopo bando, con aggiudicazioni fotocopia sempre a favore di imprese importatrici, ocme abbiamo raccontato in questi ultimi giorni. Altri imprenditori, che hanno deciso di battere la strada della riconversione, si uniscono al coro di proteste innescato da Marco Ranaldo, patron della Pointex, che per primo ha denunciato l’affare-mascherine. "Anche noi, nel periodo nero dell’emergenza, abbiamo deciso di investire nella produzione di mascherine per dare una risposta in un momento in cui il paese ne aveva bisogno e per aprire la strada a nuovi mercati", interviene oggi Fabio Giusti, uno dei titolari della Trafil, azienda specializzata nella tintoria fantasia. "Peccato che a quattro mesi di distanza sia tutto stravolto e il lavoro bloccato. I bandi pubblici, come l’ultimo di Estar, vengono vinti solo da importatori e per chi come noi ha fatto investimenti non restano che le briciole di un mercato che senza le maxi-commesse di Regione e Asl fatica a decollare". Il problema è legato alla concorrenza e ai costi di produzione: quelli italiani non possono concorrere con chi produce all’estero. Gli importatori devono dimostrare di essere loro stessi in regola, non servono le garanzie etiche delle aziende che effettivamente producono le mascherine. E qui sta l’inganno. "Le regole dei bandi sono fatte per fa vincere gli importatori", chiosa Giusti che ha investito in macchinari per produrre in serie mascherine, chiesto certificazioni all’Istituto superiore di sanità e affittato un nuovo magazzino a Bagnolo dove ha aperto una nuova unità produttiva proprio per le mascherine. Non certo uno scherzo in un momento in cui l’emergenza è anche economica. "Sembrava che ci fossero aiuti per le aziende italiane, ma così non è stato", interviene Stefano Niccoli della Nontex che commercializza tessuto non tessuto. "Rispetto a marzo il lavoro è fortemente rallentato, questo perché sono tornati sul mercato produzioni estere a scapito di quelle italiane".

Silvia Bini