Morì dopo la caduta, sentenza ribaltata: due ex guardie giurate condannate a sette anni

In primo grado imputati assolti "per non aver commesso il fatto". Pena pesante invece dalla corte d’Assise d’Appello. Ora la Cassazione

A sinistra Simone Pagliantini. Accanto Andrea Priolo
A sinistra Simone Pagliantini. Accanto Andrea Priolo

Prato, 9 marzo 2023 – La Corte di Assise di Appello di Firenze ha ribaltato la sentenza di assoluzione "per non aver commesso il fatto" delle due ex guardie giurate dell’ospedale Santo Stefano, che erano rimaste coinvolte in un episodio risalente al 2017. Ieri il giudice Nencini ha condannato Andrea Priolo e Simone Pagliantini (difesi dagli avvocati Giuseppe Nicolosi, Michela De Luca e Antonio Cozza) a 7 anni con riduzione della pena in virtù del rito abbreviato. Una pena superiore anche a quella chiesta dall’accusa, che aveva chiesto la condanna a 6 anni e 10 mesi per Priolo e quattro anni e mezzo per Pagliantini. Fra 90 giorni si potranno conoscere le motivazioni. La sentenza ribalta clamorosamente quella emessa in primo grado e arriva dopo che a settembre 2022 si è riaperto il processo a seguito della richiesta presentata dal pubblico ministero Valentina Cosci e dai legali della famiglia della vittima (assistiti dagli avvocati Manuele Ciappi, Benedetta Bertolaccini e Annalucia Mereu) di rinnovare l’istruttoria dibattimentale, discutendo l’Appello non solo sulla base delle carte ma risentendo anche alcuni testimoni-chiave. La richiesta era stata avanzata nella memoria firmata dal procuratore generale Sergio Affronte.

Un ribaltamento che arriva a quasi due anni dall’assoluzione in primo grado per non aver né picchiato né spinto il sessantenne che nella notte del 4 ottobre 2017 si presentò al pronto soccorso del Santo Stefano lamentando forti dolori alla schiena. L’uomo, tossicodipendente e affetto da varie patologie, fu trovato riverso a terra. Il sessantenne rimase tetraplegico e dopo un anno arrivò il decesso.

Una doccia fredda per l’avvocato Nicolosi ed i suoi assistiti, che ieri erano presenti in aula al momento della lettura del dispositivo, emesso dopo una breve camera di consiglio. "Siamo rimasti basiti di fronte alla sentenza. Siamo curiosi di comprendere come sia stato possibile attribuire la responsabilità di questo fatto a chi, accusato di avere picchiato la vittima, ha chiamato i soccorsi senza timore di quanto la vittima avrebbe potuto raccontare - afferma Nicolosi - Siamo convinti che questo errore sarà corretto dai giudici della Cassazione". Il legale dei due vigilantes annuncia la volontà di presentare ricorso al tribunale supremo: sarà presentato entro la fine di luglio.

I giudici della Corte d’Assise d’Appello hanno deciso di ascoltarne sei testimoni, prima di formulare la sentenza: la dottoressa che per prima intervenne per soccorrere l’uomo, altri tre sanitari in turno quella notte, un paziente e un poliziotto. Fu la dottoressa a scrivere nel referto medico che il paziente aveva detto di essere stato picchiato ma senza specificare da chi. Particolare che non raccontò ai poliziotti giunti qualche ora dopo per accertare che cosa fosse successo. Ci sono voluti quasi quattro anni e tre consulenze prima di arrivare alla sentenza di primo grado. Da una parte la Procura e la parte civile, che sostenevano la colpevolezza delle guardie che avrebbero picchiato e spinto l’uomo in stato di agitazione per i forti dolori alla schiena causandone le lesioni permanenti che un anno dopo portarono alla morte. Dall’altra la difesa, secondo cui i due vigilantes trovarono l’uomo esanime a terra e chiesero subito aiuto a medici e infermieri. Nessun testimone oculare, nessun filmato ma perizie discordanti e le dichiarazioni della dottoressa. Oltre all’incidente probatorio nel quale il 60enne non è stato in grado di indicare chi lo avrebbe picchiato.

Sa.Be.