
Il ritiro della querela per diffamazione da parte dell’ex direttrice Cristiana Perrella nei confronti del presidente del cda Lorenzo Bini Smaghi apre un altro fronte caldo sul caso Pecci. Un ritiro nato dall’accordo stragiudiziale trovato tra le parti dopo che a giugno il gip ha disposto l’imputazione coatta per Bini Smaghi. Accordo del quale non si conosce l’importo perché vincolato da una clausola di riservatezza, ma che adesso getta ulteriori ombre sulla gestione del museo.
Per Leonardo Soldi (Centrodestra), presidente della commissione Controllo e garanzia è fondamentale ora fare chiarezza e definisce "gravissima" l’ipotesi che l’accordo sul fronte penale possa essere stato pagato dalle casse del Pecci: "Dal punto di vista giuridico, è fondamentale sottolineare che una querela penale per diffamazione a carico del presidente Lorenzo Bini Smaghi è una questione personale e non può, né deve, essere oggetto di una transazione economica finanziata con denaro pubblico. Se ciò fosse confermato, verrebbe certificata non solo la mala gestione amministrativa, ma anche che un fatto giuridicamente personale e penale, sarebbe stato risolto a spese della collettività. A momento stiamo cercando di ottenere, non senza difficoltà documenti ufficiali per fare piena luce sulla questione", aggiunge Soldi.
La ruggine fra Bini Smaghi e Perrella risale all’ottobre 2021 quando il cda comunicò il licenziamento della direttrice tramite un comunicato stampa, all’insaputa della diretta interessata. Fu l’inizio del terremoto. Ma quello che mandò su tutte le furie Perrella, oltre allo sgarbo istituzionale, che l’ha portata a presentare una causa di lavoro alla Fondazione, furono le dichiarazioni di Bini Smaghi durante la commissione comunale: "Il Pecci è la bella addormentata dell’arte contemporanea". "Il museo ha bisogno di un cambio di passo che la direttrice non è stata in grado di dare".
Parole oggetto di una denuncia in seguito alla quale il gip ha disposto, nel giugno scorso, l’imputazione coatta per Bini Smaghi, ritenendo le frasi dette dal presidente in commissione "lesive della professionalità e dell’immagine" della critica d’arte.
"Fin dalla prima interlocuzione in commissione Controllo e garanzia, a seguito del licenziamento di Perrella, l’assessore Mangani ha ribadito che il presidente Bini Smaghi e il cda godevano del pieno sostegno e condivisione da parte e del primo cittadino - aggiunge Soldi -. Il mio rammarico è che la città sembra non aver compreso appieno che alla base della crisi c’è un solo e principale responsabile: il sindaco Biffoni". Ieri a gettare ulteriori ombre sul Pecci è stata la mancata consegna degli atti del cda al consigliere della Lega, Marco Curcio, nonostante avesse fatto formale richiesta. "Sono andato di persona e i documenti non mi sono stati consegnati facendo appello ad una sentenza del Consiglio di Stato sulla privacy - dice Curcio -. Il fatto che ad un consigliere venga negato di accedere agli atti della fondazione è quantomeno sospetto".
Curcio spulciando il bilancio 2022 è risalito alla cifra che la fondazione ha pagato a Cristiana Perrella per chiudere la causa di lavoro mossa dall’ex direttrice contro il museo: "A pagina 20 sotto la voce ’oneri e rischi’ sono indicati 125mila euro, si tratta della transazione con Perrella: 100mila euro all’ex direttrice e 25mila per le spese legali pagati con soldi pubblici", dice Curcio che si riserva di presentare una informativa alla Procura appena avrà tutte le carte in mano.
"Il bilancio riporta la data del 29 maggio, Bini Smaghi quando è venuto in commissione a luglio ha detto di non poter dire l’importo della trattativa legale perché in corso - conclude il consigliere della Lega -. Le date dimostrano il contrario. Quindi ha mentito sapendo di mentire". La querelle continua.
Silvia Bini