
Giancarlo Calamai, storico cerimoniere, racconta i retroscena della macchina organizzativa. "Iniziavo a contattare i gruppi dopo l’ostensione di Pasqua".
Dal 1968 il Corteggio storico di Prato non ha mai mancato un’edizione. Non lo ha fermato la pioggia, non lo ha bloccato nemmeno l’allerta meteo. In due sole occasioni - con il sindaco Landini, quando fu rimandato di una settimana per maltempo, e nel 2024, sotto l’amministrazione Bugetti, quando non ci fu la sfilata storica ma soltanto la consegna dei ceri e l’ostensione - la città si è dovuta adattare. Il Corteggio 2025 ha un grosso punto di domanda. Potrebbe non esserci. "Sarebbe una disgrazia". Non usa giri di parole Giancarlo Calamai, cerimoniere del Comune per 18 edizioni, anima e regista silenzioso della manifestazione. Da quando è andato in pensione, nel 2019, continua a seguirla da spettatore affezionato. Ma oggi, davanti al vuoto amministrativo lasciato dalle dimissioni della sindaca Bugetti, guarda con apprensione al calendario. "Il tempo è pochissimo. E questa – lo dico con tutto il cuore – non è una cosa che si può improvvisare".
Calamai sa bene di cosa parla. "Io iniziavo dopo Pasqua a contattare i gruppi. Erano 500 figuranti ogni anno, a volte anche 600. Bisognava curare i costumi, le entrate, il cerimoniale, l’ospitalità. Un lavoro enorme, che coinvolgeva anche le città gemellate e gruppi storici da tutta Italia. Se i gruppi non sono stati chiamati per tempo, difficilmente potranno venire. Le realtà più strutturate prendono impegni con largo anticipo. Non puoi sperare che ti dicano sì all’ultimo minuto".
Ma non è solo una questione di figuranti. Il Corteggio non è una semplice rievocazione storica. "È una cerimonia religiosa. L’omaggio della città alla Cintola della Madonna – ricorda Calamai – una tradizione profondamente pratese, con radici antichissime. Il corteo è un corollario, un omaggio visibile e condiviso che accompagna un momento sacro". Proprio per questo la manifestazione ha bisogno di rispetto e di forma. Di una regia. Di un’anima.
"Io spendevo circa 140mila euro ogni anno – continua Calamai – soldi che servivano per tutto: bisogna capire se sono già stati stanziati". E poi ci sono le regole non scritte, quelle che si tramandano da più di mezzo secolo e che costituiscono il vero cerimoniale. "La partenza del Gonfalone da piazza del Comune. Il cammino dei valletti. L’ostensione della Cintola nella Cappella, dopo la messa. La lettura del verbale da parte del cerimoniere del Comune. E soprattutto – sottolinea – le chiavi della Cappella".
Già, perché le chiavi della teca che custodisce la reliquia sono custodite in tre copie: una in Curia, due al Comune. "Può portarle il sindaco. Ma senza sindaco, chi lo fa? Il commissario prefettizio? Tecnicamente sì, secondo la mia esperienza può farlo solo il commissario", spiega Calamai. Il rischio, oggi, è che tutto questo venga sacrificato sull’altare della confusione. "Una manifestazione così non può essere gestita con superficialità. Anche se si decidesse di farla in forma ridotta, ci vuole un minimo di struttura". Il Corteggio non è un corteo qualunque. È Prato che cammina, in processione, verso la sua storia. Sarebbe una ferita se il Gonfalone non uscisse da piazza del Comune, se i valletti non aprissero la strada, se la città non si fermasse, come ogni 8 settembre, per guardare se stessa.
Silvia Bini