"Se sarebbe felice? Sarebbe felicissimo". Raggiungiamo Rodolfo Banci al telefono mentre è assieme alla sua famiglia nell’aretino, nella tenuta dove produce vino. Ottant’anni sulle spalle ("ma guardi che non sono mica qui a riposarmi eh?"), lo immaginiamo alzare gli occhi. Oltre le nuvole. "Sì, babbo Walter toccherebbe il cielo con un dito...". Non sceglie le parole a caso, Rodolfo, perché in questa storia cielo e terra si intrecciano. Letteralmente. Soprattutto ora che l’ex Banci è candidata a un progetto incredibile: quello della costruzione di un centro di ricerca dell’Asi (Agenzia spaziale italiana) per studiare e analizzare il materiale extraterrestre.
Terra e cielo, dicevamo. Le radici dell’ex Banci sono quasi mitiche, ficcate nella terra del dopoguerra, quando il Paese piantava i gomiti e provava a rialzarsi dalle macerie. Laura Banci, nipote del fondatore del lanificio che guardava la Declassata, la ricorda con tenerezza, quella storia. "Nonno Walter era un semplice ragioniere. Durante la guerra aveva nascosto delle pezze sotto terra. Dopo il conflitto, quando non c’era più nulla, anche un pezzo di stoffa era pagato oro...". I primi ricavi li portò in banca, e iniziò la sua impresa. Il Lanificio Walter Banci nacque nel 1951 e fu subito una finestra sul futuro. Fu anche un po’ la fabbrica dei sogni. Di un sogno sicuramente: quello del suo fondatore che in quell’enorme spianata (copriva oltre 200mila metri quadrati) vicino all’autostrada e alla tangenziale concepì un’azienda modello. Il lanificio divenne uno dei simboli della Prato capitale europea del tessile. Ma anche il simbolo di una ‘filosofia’. "Vede – sorride Rodolfo Banci – mio padre è stato un gigante nella storia di Prato. Un imprenditore illuminato. A 32 anni costruì da solo questo stabilimento che era all’avanguardia. Dal punto di vista architettonico si ispirò all’architettura organica di Frank Lloyd Wright, che conobbe a New York". Quell’incontro – li univa la passione comune per la lirica – fu determinante. E così nacque a Prato una fabbrica che aveva un po’ d’America dentro: il rispetto per l’architettura storica, organica. Il rispetto per l’ambiente: Banci piantò oltre diecimila alberi, creando parchi incorniciati da viali di oleandri. Nacque un polmone verde nel cuore della città. Aveva, Banci, una grande attenzione verso i lavoratori. "Le vetrate immense, sul verde, erano state pensate anche per il benessere degli operai". Quando la produzione cessò, nel 1974, non si spense il sogno dell’imprenditore: dare una seconda vita a quell’immensa area. "Mio padre – ricorda Rodolfo – dedicò tutta la sua vita a fare diventare quello spazio Centro espositivo toscano. Aveva già in testa un nome – sorride –: Leonardo Da Vinci. Inseguì questo sogno, contro tutto e contro tutti". Non ce la face. "Faceva concorrenza alla Fortezza da Basso", sintetizza Banci. "A cavallo tra fine anni Novanta e primi Duemila si parlò anche di un centro post master di alta specializzazione per le arti – continua – insomma, un centro di eccellenza. Nulla, anche in quel caso. Il babbo è scomparso nel 2008 ma fino ad allora ha lottato per questo sogno: dare una seconda vita all’area".
Il sogno poi si è scontrato con la crisi economica, con il degrado e i tanti successivi progetti di riqualificazione - su tutti il polo fieristico ed espositivo - mai andati a buon fine. Nel frattempo l’area era passata a Consiag (oggi quindi è di Alia) e negli anni le idee sono rimaste idee, e quell’enorme complesso industriale circondato dal verde è restato solo uno scrigno di potenzialità.
"Si figuri quando abbiamo saputo del progetto del centro di ricerca dell’Asi la gioia provata – sorride Rodolfo, con la figlia Laura accanto – Oggi mio padre sarebbe felicissimo. E quando lo riabbraccerò sarò felice di dirglielo: Caro babbo, avevi ragione tu e avevo torto io". Perché? "Io gli dicevo: non te lo faranno mai fare a te, privato, un centro espositivo, rassegnati. Lui mi rispondeva che ce l’avrebbe fatta. Che quello spazio avrebbe avuto una seconda vita. Era come se volesse restituire qualcosa al territorio, alla Toscana. Voleva far fare un salto di qualità a quell’area non per un suo interesse privato, o mero profitto. Mi ripeteva, il babbo: amare un’idea, è come amare Dio".