SARA BESSI
Cronaca

I colletti bianchi che tengono su il sistema Permessi facili, arrestati 7 professionisti

Maxi operazione della Finanza con 400 militari e un elicottero impegnati nel blitz: 210 indagati e tanti studi italiani nei guai. Il meccanismo: ditte fantasma attestavano finte assunzioni di lavoratori cinesi. E l’evasione contributiva correva: 7,6 milioni di euro

di Sara Bessi

PRATO

Dalla palude del sistema Prato emerge una rete di sette studi professionali di gestione contabilità e consulenza del lavoro, dediti alla produzione di documentazione falsa usata per il rinnovo dei permessi di soggiorno dei cittadini cinesi. Un mercato florido messo su da colletti bianchi italiani e consulenti orientali e sgominato grazie all’indagine "Easy Permit", ossia permessi facili, messa a segno dal nucleo di polizia economica finanziaria della Guardia di Finanza di Prato. Un’inchiesta complessa, coordinata dai sostituti procuratori Lorenzo Gestri e Lorenzo Boscagli, e affidata dalla Procura pratese alle fiamme gialle, sfociata ieri mattina in un’imponente operazione che ha visto impegnati dalle prime ore dell’alba oltre 400 militari della Finanza e personale dell’Inps, della Polizia municipale e dell’Asl, in 142 perquisizioni di locali e nell’esecuzione di otto misure cautelari che sono state notificate a cinque professionisti italiani e tre cinesi. Tra questi ci sono due consulenti del lavoro, un commercialista, due titolari di ditte di elaborazione dati ed infine tre persone non iscritte ad ordini professionali, ma che di fatto praticavano attività di consulenza in centri di elaborazioni dati. Per sette degli otto principali indagati il gip del tribunale di Prato, Francesco Pallini, ha disposto gli arresti domiciliari. Sono Chao Wu dello studio R.W., Alessandro Frati, Alessandra Belliti, Giuseppe Cannatà, Marta Gabbriellini, Jiejie Hu alias Jessica e Weijie Hu alias Sara del Centro elaborazione dati di Guo Yangping. Paolo Santangelo, titolare dell’omonimo studio, è stato sottoposto a obbligo di dimora e di presentazione alla polizia giudiziaria. I pm avevano fatto richiesta di custodia cautelare in carcere, ma il giudice per le indagini preliminari ha rigettato la richiesta "tenuto conto della esclusione del reato associativo" e perché si tratta "di quasi tutti indagati incensurati". In totale sono 210 le persone indagate: 193 di origine cinese e 17 italiani. In particolare si tratta di 10 titolari o soci e 19 dipendenti di studi professionali e di 181 cittadini cinesi che hanno indebitamente fruito del permesso di soggiorno (52 imprenditori occulti, 46 prestanome e 83 lavori fittizziamente assunti da ditte fantasma). Tra gli indagati tornano alla ribalta anche due vecchie conoscenze: si tratta di due cittadini cinesi condannati per associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento del lavoro e alla permanenza e all’impiego di manodopera clandestina nell’inchiesta sulla confezione Massimo. I reati contestati a vario titolo sono quelli di falsità ideologica per induzione commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, favoreggiamento ai fini di profitto della permanenza nel territorio dello Stato di stranieri privi di titolo, contraffazione, alterazione o utilizzo di documenti al fine del rilascio di un permesso di soggiorno. L’operazione "Easy Permit" è scaturita da un controllo effettuato nel 2017 dalla polizia municipale contro gli abusi edilizi: allora gli agenti avrebbero dovuto effettuare una verifica su una grossa confezione con 48 dipendenti, ma quando arrivarono a fare il sopralluogo al Macrolotto trovarono portone sbarrato e nessun movimento neanche tra le aziende vicine. Da lì Flora Leoni, allora commissario della polizia municipale, presentò la la segnalazione alla Procura, partendo da controlli incrociati sui nomi dei titolari. Una confezione fantasma a tutti gli effetti, intestata a soggetti di origine cinese, che avrebbero avuto alle dipendenze numerosi operai, per ciascuno dei quali era stata aperta una posizione all’Inps. Ovviamente tutto fasullo. Le successive investigazioni delle Fiamme Gialle hanno consentito di far emergere un collaudato sistema di illegalità che si è avvalso della regia dei professionisti coinvolti. Dietro corrispettivo e servendosi delle proprie strutture, i professionisti predisponevano falsa documentazione contabile, da un lato attestante - per i prestanome formalmente a capo delle imprese - redditi di lavoro autonomo prodotti grazie alla simulata titolarità (tra cui bilanci provvisori di esercizio e dichiarazioni dei redditi), dall’altro comprovante inesistenti rapporti di lavoro subordinato per gli effettivi imprenditori occulti, veri "domini" delle stesse ditte nelle quali risultavano dipendenti (ultime tre buste paga, modelli Unilav, certificazione unica dei redditi).