REDAZIONE PRATO

Guadagnare col riciclato? Solo se la cernita è a mano

L’imprenditore Dabizzi interviene nelle polemiche sull’impianto di Baciacavallo "Nel progetto si ipotizza di lavorare cento tonnellate al giorno: impossibile"

"Nessuna macchina sarà mai in grado di sostituire la mano esperta di un cenciaiolo pratese". A parlare è Valerio Dabizzi imprenditore da generazioni, titolare della ’Dabizzi Baling System’, azienda che ha aperto i battenti nel primo dopoguerra, specializzandosi nella costruzione di macchinari per lo stoccaggio delle merci come le presse principalmente utilizzate nel tessile. Uno del mestiere, ma non un diretto interessato nel settore della cernita degli stracci. Il parere di Dabizzi è maturato con anni di esperienza accanto a chi questo lavoro lo ha fatto fin dagli albori e la domanda che l’imprenditore si pone focalizza l’attenzione soprattutto sulla quantità di materiale che un hub da 18,5 milioni di euro dovrebbe riuscire a rigenerare ogni giorno perché il bilancio possa quadrare a fine mese. "Non tutto è buono per essere riciclato. Faccio un esempio: anche in Tunisia ci sono tante aziende che si occupano della cernita dei materiali tessili, ma i prodotti che reimmettono sul mercato non li compra nessuno perché il lavoro è svolto male e con materiali non adatti. Quando si arriva a creare un capo di tessuto rigenerato, se il lavoro a monte non è stato svolto bene, non viene niente di buono e si rischia di gettare alle ortiche soldi e tempo", dice l’imprenditore. Anche sulla tecnologia Dabizzi ha forti perplessità: l’occhio dell’uomo non può essere sostituito da un raggio laser. I capi, quando arrivano nelle aziende di cernita, vengono passati in rassegna: "Le prime scelte tornano ad essere abiti da reintrodurre sul mercato: sono qui i margini di guadagno delle aziende che con il solo prodotto riciclato non arriverebbero a fine mese", spiega Dabizzi. "Ma quale macchinario può determinare se un maglione è in buono stato oppure da gettare nella sfilacciatrice?". Le stime contenute nel progetto parlano di quasi 100 tonnellate al giorno di capi usati da trattare (34.000 all’anno): "Ci sono aziende che fanno questo lavoro da decenni, l’hub quindi farà concorrenza in casa nostra?", domandal’imprenditore, poco convinto anche del vantaggio di trattare materiali provenienti dall’estero: "Si è pensato ai costi di trasporto? E poi in Europa mica aspettano l’hub di Prato, in Germania ci sono enormi aziende di recupero stracci. Credo che i conti vadano ricalcolati e che con queste basi ci siano molte incognite e poche certezze". Il problema riguarda soprattutto il materiale da trattare: l’unico in grado di fornire buoni margini di guadagno è il cashmere. Ma quanto ne andrebbe rigenerato per dare ossigeno ad un impianto da 18,5 milioni di euro?

Silvia Bini