
Figlio dal ragazzino. La Cassazione mette la parola fine al caso. La mamma va in cella
Sei anni, cinque mesi e 15 giorni. La Cassazione ha confermato, mettendo definitivamente la parola fine sul caso, la sentenza di condanna per la donna di Prato, 34 anni, accusata di violenza sessuale su un minore di 14 anni a cui dava ripetizioni e da cui ha avuto un figlio che ora ha cinque anni. I giudici della Suprema Corte si sono espressi sul merito ieri sera respingendo il ricorso della difesa della donna: ora la sentenza è definitiva e lei si aprono le porte del carcere. "Sta andando ora a Sollicciano a costituirsi", ha detto il suo legale, Mattia Alfano, che ha seguito la vicenda della donna, che di lavoro faceva l’assistente sociosanitaria, fin dall’inizio, da quando nel marzo 2019 ci fu la prima perquisizione della polizia in casa sua, in seguito alla denuncia dei genitori del ragazzino che all’epoca dei fatti non aveva ancora compiuto 14 anni, come accertato dalle carte del processo. La donna ha già scontato un anno agli arresti domiciliari, tempo che dovrà essere scalato dal conteggio finale della pena che le resta da trascorrere in carcere.
La legge prevede che la donna, avendo un figlio minore di 10 anni, debba scontare almeno un terzo della pena definitiva in carcere. Questo le permetterebbe di restare in cella al massimo sette, otto mesi. Il resto potrebbe poi passarlo ai domiciliari. Un conto che comunque dovrà essere confermato in un secondo momento. Essendo stato respinto il ricorso (fra l’altro il reato è ostativo a forme alternative di detenzione), la donna ha deciso ieri sera di andare a Sollicciano, carcere femminile.
I difensori hanno fatto ricorso in Cassazione dopo la sentenza in Appello che di fatto ha confermato l’impianto accusatorio della procura di Prato assolvendola solo per un capo di imputazione, ossia la violazione di domicilio riferita al giugno del 2017 quando sarebbe stato datato il primo rapporto sessuale fra la donna e il ragazzo che all’epoca aveva solo 13 anni e mezzo. E’ sulla data di inizio della relazione che si è dibattuto il processo, anche il ricorso in Cassazione in quanto la difesa ha voluto dimostrare come il rapporto fosse cominciato quando il ragazzo aveva compiuto già 14 anni. Una linea di confine che avrebbe permesso di alleggerire la sua posizione derubricando il reato ad atti sessuali con minore. Impostazione che però non ha convinto i giudici.
I genitori del padre biologico del bambino e il ragazzo si sono costituiti parte civile, assistiti dall’avvocato Roberta Roviello.
Secondo quanto ricostruito, la donna conosceva la famiglia del ragazzo perché suo figlio, di poco più grande della vittima, frequentava la stessa palestra di arti marziali. La donna si era offerta di dare ripetizioni di inglese al giovane che doveva sostenere l’esame di terza media.
Un giorno di giugno, mentre i due erano soli in casa, la donna finse di uscire di casa ma poi rientrò e, mentre il ragazzo era sul letto a riposarsi, fu consumato il primo rapporto. Il giovane avrebbe compiuto 14 anni nel novembre successivo. La relazione a quel punto era cominciata. La donna rimase incinta nel novembre del 2017 e il bambino è nato nell’agosto 2018. E’ stato l’esame del dna, eseguito durante le indagini, a confermare la paternità. Prima che la storia esplodesse, a inizio 2019, la donna ha fatto di tutto per far proseguire la relazione con il ragazzo. In una serie di messaggi allegati agli atti dell’inchiesta, si possono leggere le minacce che la donna faceva al ragazzo di rivelare a tutti chi fosse il vero padre di suo figlio costringendolo a portare avanti una relazione a cui lui avrebbe voluto mettere fine.
Nell’inchiesta è finito anche il marito della donna che venne condannato in primo grado per alterazione di stato civile, ossia per aver riconosciuto il figlio pur sapendo che non era suo. Condanna cancellata in Appello.
Laura Natoli