
Un controllo dei carabinieri lungo le strade delle “lucciole”
Prato, 25 luglio 2025 – Decidiamo che si chiami Alice. Il patto è che quest’intervista sia anonima come è giusto per chi cammina su un confine sottilissimo dove lavoro e pericolo diventano binomio di un’incredibile quotidianità. Il rischio delle botte, del cliente strafatto, o anche peggio, è dietro l’angolo. E allora, Alice. Sceglie lei il nome. ‘Come Alice nel paese delle meraviglie’, sorride. Alice fa la escort, ha una quarantina d’anni. L’accento è caldo come il vento del sud: tradisce le radici, piantate in Sudamerica. Le chiediamo di portarci, per un po’, in quel mondo ‘a lato’, quello delle escort, che provi a guardarlo negli occhi, ma non riesci mai a metterlo a fuoco davvero. Le storie di Ana Maria e Denisa, con il loro tragico finale, ci sbattono in faccia i rischi di chi fa questo lavoro, per scelta in alcuni casi, in altri perché era l’unica scelta possibile.
Alice, è più rischioso lavorare in strada o in casa?
“In casa, senza dubbio. Il cliente ti contatta per telefono e sono loro a fare mille domande: vivi da sola? La casa si trova in un posto appartato? Ci sono vicini che guardano? Cercano di essere rassicurati. Poi chiedono il tipo di prestazione e il prezzo. Sono loro a chiedere, non tu, che fino a quando non vedi il cliente non sai davvero chi sta chiamando. E può capitare il cliente ubriaco, drogato, che diventa violento... Lavorare per strada è un’altra cosa: ti lascia anche più libertà di denunciare”.
In casa no?
“No, hai paura a denunciare, non vuoi creare problemi, non vuoi perdere l’abitazione. Tante ragazze subiscono in silenzio”.
Quando ha iniziato a fare questo lavoro?
“Sono arrivata in Italia a 18 anni dal Sudamerica. A Prato lavoravo in zona stazione, e poi anche a casa”.
Il cliente tipo?
“La maggior parte sono sposati e fidanzati”.
Pagano prima?
“Certo, sempre. E’ capitato che quando mi chiedevano più tempo rispetto a quanto pattuito e non avevano i soldi subito mi facessi lasciare un documento a garanzia”.
Ci sono stati momenti in cui ha avuto paura?
“Tantissimi. Ad esempio a casa mi è arrivato un cliente tossico, che si fa di cocaina. Vedi, questi sono i clienti che pagano meglio, perché vogliono più tempo per tirare. E il tempo ce lo facciamo pagare cento euro l’ora. Ma queste persone a volte arrivano a drogarsi talmente tanto che non li gestisci. E così finiscono per picchiarti anche. Conosco diverse ragazze che sono andate in ospedale”.
Come ci si può difendere? Ci sono accorgimenti da seguire per tutelarsi?
“Certo. Ad esempio, quando una escort va a casa di un cliente di solito si mette d’accordo con le amiche. C’è quasi sempre un’amica che la accompagna e aspetta sotto casa, in auto. Ci aiutiamo. E poi c’è un’altra regola che tutte le escort seguono”.
Qual è?
“Mai bere quello che ti viene offerto. A volte qualcuno viene con una birra, ma la regola è: non prendere nemmeno un bicchiere d’acqua. Solo se l’acqua è tua e la apri tu, allora va bene”.
Anche il telefonino può essere un aiuto.
“E’ così. Le ragazze lo tengono acceso, con il microfono attivo, e dall’altra parte della linea c’è un’amica. Se sentiamo qualcuna che sta menando allora si interviene. Ma capita tante volte che le ragazze menate devono anche stare zitte altrimenti non lavorano più. Subiscono e stanno zitte. Ci sono comunque chat di ragazze che mettono in guardia dai clienti pericolosi. Io avevo amiche che andavano con uno e tornavano tutte rotte, e così su questa chat ci passavamo il tipo di auto, il colore, altri dettagli e non ci andavamo. Molte mie amiche evitano ad esempio romeni e albanesi. Riconoscono l’accento già dal telefono”.
Perché?
“Magari un romeno viene un giorno come cliente, il secondo anche, ma al quinto magari vogliono qualcosa in più e cominciano a ricattarti. Ovvio che non sono così tutti i romeni. Ma i papponi sono in genere o di nazionalità rumena o albanese”.
Ne ha conosciuti alcuni?
“Io sono arrivata a lavorare tra Prato e Firenze nel 2000. Quando lavoravo a Firenze alle Cascine era pieno di papponi albanesi. Noi non potevamo stare lì perché non eravamo sotto la loro protezione. Abbiamo fatto delle guerre con i magnaccia delle ragazze. Io ho ancora le cicatrici sulla pelle”.
Le escort, lavorando in casa, sono più libere dal controllo?
“No, assolutamente. I magnaccia li hanno lo stesso. Le escort di solito hanno 2 telefoni: io conosco una ragazza che vive con il suo fidanzato, che è anche quello che la gestisce. Lui esce cinque minuti prima che arrivi il cliente, si apparta poco distante, lei lo chiama con uno dei due cellulari e lo appoggia sul comodino con la chiamata aperta, così lui sente tutto. Sono ragazze per lo più dell’est. A volte i papponi sono gli stessi compagni, capita”.
A Prato quali sono le zone a più alto tasso di prostituzione?
“Un po’ ovunque, soprattutto vicino alla stazione centrale, anche quella del Serraglio: girellano lì attorno e poi hanno case lì vicino. Un’altra zona è via Roma. Chi invece lavora per strada sceglie soprattutto il viale che va verso Calenzano, o verso Agliana. E poi ovviamente c’è il boom delle cinesi, dei centri massaggi”.
Quante ragazze gestisce un protettore?
“A Prato ogni pappone avrà anche 80-90 ragazze. Soprattutto giovanissime, sui vent’anni. Quelle oltre i 35 non sono più così manipolabili”.
C’è ancora la prostituzione per strada?
“E’ praticamente finita. Le ragazze fanno tutte annunci”.
Maristella Carbonin